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Come scrivere – il mio metodo di lavoro

Da Marcofre

Non si può solo comprare libri di autori che spiegano come scrivere; prima o poi bisogna spremere qualcosa da quelle letture e cercare di crearsi il proprio abito.

Non ho la pretesa di riuscirci davvero, ci sto provando.

Più o meno (anche se in passato ne ho già scritto, credo), tutto parte da un’immagine. Già questo rappresenta un progresso; un tempo se non partivo da un’idea non mi sentivo bene, ma è un errore madornale. Un’immagine va già meglio, ma di per sé non vuol dire granché. Deve contenere una persona: le mie da un pezzo per fortuna, contengono sempre qualcuno.

Le idee per una storia sono come mettere il gasolio in un’autovettura che va a benzina. Forse riesci a uscire dall’area di servizio, ma ti fermi poco oltre. Non sto affermando che un romanzo o un racconto non devono contenere idee, anzi. Ma se affidi a loro il lavoro sporco, resterai con un mucchio di lavoro da finire, e poca voglia di portarlo a termine.

Persone, lo scrivo spesso: quelle ci vogliono in una storia. Nomi, cognomi, carne, sangue, occhi. Poi anche un’idea ma attenzione: se credi di condurre i tuoi personaggi dove vuoi tu, seguirai il destino del capitano di vascello Bligh, che comandava il Bounty. Faranno ammutinamento, e se ti abbandoneranno alla misericordia dell’oceano sarà una fortuna.

L’immagine, quindi.

La fase successiva è vedere un po’ quell’immagine cosa vuole, quel personaggio chi è, come si chiama, cosa combina. Essenziale dargli profondità, peso, (i dettagli fisici beh, anche, ma non ne farei una regola ferrea), voce. Pesto i tasti e riempio un po’ di pagine (digitali) finché non sento la necessità di fermarmi.

Qui forse commetto un errore, non lo so. King per esempio afferma che non bisogna tornare subito a rileggere, a correggere, perché si rischia di perdere il filo, di sovrapporre troppo materiale, mentre sarebbe meglio rileggere dopo. Non ci riesco. Gli errori di battitura li correggo subito. Elimino le ripetizioni più evidenti.

Soprattutto devo definire meglio ambiente, personaggio o personaggi, sviluppo dell’azione (dove per azione intendo semplicemente entrare in un ambiente chiuso, salutare e sedersi). Lo scheletro della creatura insomma non riesco a lasciarlo in quelle condizioni, ma dopo qualche minuto sento il dovere di rivestirlo di carne, muscoli, nervi, in modo del tutto casuale e disordinato.

Il risultato secondo me è terrificante, una specie di mostro con gli occhi che sbattono le palpebre, ma senza ciglia, sopracciglia, un po’ di muscoli sul volto che fasciano il cranio, niente pelle o capelli, la cassa toracica attraverso cui si vedono i polmoni che si alzano e si abbassano, e le viscere sparpagliate attorno. Solo in questa maniera capisco se è vivo, e può andare da qualche parte, oppure è meglio ammazzarlo.

Ripeto, non so se sia giusto, ma mi pare quello più adatto a me. Poi, viene la rilettura, e infine la riscrittura. Ma su tutto non ci deve mai essere la fretta. Mai


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