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Come stai?

Da Saraconlacca

C’è una domanda molto comune che le persone usano rivolgersi e che, proprio per il suo carattere rituale, di regola viene percepita come una semplice forma di cortesia. Ad essa solitamente si risponde in maniera evasiva, con formule altrettanto di circostanza. La domanda è: “Come stai?”

E’ una domanda che merita più considerazione. Prova a portela: Come stai? Come stai proprio adesso, in questo preciso momento? Prenditi un istante e prova a osservare con calma il tuo corpo e la tua mente: sei davanti al monitor, gli occhi puntati a leggere con qualche sforzo queste parole sullo schermo luminoso, una mano appoggiata sul mouse, le dita pronte a cliccare… Forse la spalla e il collo sono contratti, la schiena un po’ incurvata, il respiro corto… E probabilmente la prospettiva di leggere un testo che da qui si prospetta lungo suscita in te una sottile tensione, un’oscillazione tra la volontà di proseguire la lettura e la tentazione di rimandarla a un momento di maggior freschezza, saltabeccando via in cerca di qualcosa di meno impegnativo.

Niente di sorprendente: piccoli stress di questo tipo non sono per nulla rari, nel corso di una giornata qualsiasi – non parliamo poi di stress ben maggiori… Raro è invece che qualcosa o qualcuno intervenga a farceli notare mentre li stiamo vivendo. Del resto, perché dovremmo perdere tempo in simili futilità?
Una storia racconta di un uomo su un cavallo: il cavallo galoppa veloce, e pare che l’uomo debba andare in qualche posto importante. Un tale, lungo la strada, gli grida: “Dove stai andando?” e il cavaliere risponde: “Non so! Chiedi al cavallo!”.

COME STAI?
C’è qualche somiglianza tra questa storia e la nostra: anche noi stiamo cavalcando un cavallo, non sappiamo dove stiamo andando e non ci possiamo fermare. Il cavallo è la forza dell’abitudine che ci spinge in una certa direzione, senza che noi si possa fare niente: corriamo sempre, e correre diventa il nostro modo di vivere. Spesso siamo così indaffarati che ci dimentichiamo cosa stiamo facendo e persino chi siamo. Persi in mille preoccupazioni, rimpianti, paure, sogni a occhi aperti, ci dimentichiamo di guardare e apprezzare le cose che ci circondano, le persone che amiamo, finché non è troppo tardi. Quella che sto vivendo, pensano molti di noi, non è la mia vita vera: quella appartiene al passato, a quando ero giovane, oppure è rimandata a quando avrò più denaro, o una posizione migliore, una casa più grande, la laurea, una fidanzata, un figlio… E nel frattempo viviamo come in un’eterna parentesi, immersi in una bolla di sofferenza opaca di cui neppure ci rendiamo conto, convinti che le condizioni attuali non consentano alcuna vera felicità.

Anche quando abbiamo del tempo libero, non sappiamo come entrare in contatto con ciò che sta succedendo dentro e fuori di noi. Così accendiamo il televisore, prendiamo in mano il telefono, sfogliamo una rivista, apriamo Internet, qualsiasi cosa pur di sfuggire a noi stessi. Combattiamo tutto il tempo, anche durante il sonno. Dentro di noi c’è la guerra, ed è facile che questo faccia scoppiare una guerra con gli altri.

Cambiare questo stato di cose è possibile, se lo vogliamo. La prima cosa che dobbiamo imparare è l’arte di fermarsi: fermare i pensieri, le abitudini, le emozioni forti che ci condizionano. La paura, la disperazione, la rabbia e il desiderio possono essere fermati adottando uno stile di vita più lento, più consapevole.



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