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Come un bolide: il cinema action di Paul Walker

Creato il 20 dicembre 2013 da Fascinationcinema

Paul Walker in action

 

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La notizia della morte di Paul Walker arriva come un fulmine a ciel sereno. Quello che a volte ci dimentichiamo è che gli attori sono fatti di carne e sangue come noi. Ci resta sempre il dubbio che Dio li abbia forgiati con la sua stessa materia, non dal fango o dalla costola di un uomo, non dall’evoluzione di uno scimmione e ancor prima di un pesce, ma dalle stelle, le stesse che illuminano una via di nomi e leggende ad Hollywood. Quello che però ci lascia inermi nella tragica fine di Walker è la sua giovane età: 40 anni e una carriera tutta davanti a lui. Walker non è il primo attore che ci lascia, altrove la droga, la depressione e la mafia hanno fatto lo sporco gioco della morte, ma sarà la sua fine così scema, così umana, così assurda che ce lo fa sentire così vicino. Paul Walker non è mai stato un grande attore e probabilmente non lo sarebbe stato mai, ma era ottimo nei ruoli che si ritagliava in ogni produzione che interpretava, fosse un Fast and furious o un altro film a basso o ad alto volume. La sua carriera conta 26 titoli, tanta TV e forse un pugnetto di film appena decenti in mezzo a tanta paccottiglia da blockbuster e un paio di gioielli, come il caso di Running scared di Wayne Kramer. Non si può dire abbia lasciato il segno nel cinema action o che la sua fine equivalga allo stesso lutto che potrebbe dare la dipartita di un Van Damme, di un Chuck Norris o di Ciccio Seagal, vuoi per lo scarto d’età, vuoi perché Walker non ha avuto il tempo di ritagliarsi un posto al di fuori dei Fast and furious. Eppure quello che stavano facendo le sue produzioni era di imporre il suo viso in storie testosteroniche, cominciando a seguire uno schema che sarebbe stato il marchio di qualità per ogni fan dell’attore: inseguimenti di auto, personaggi dal passato non proprio pulito, tanti buoni sentimenti e ancor di più ironia. Si, perché Walker era una sorta di Terence Hill d’oltreoceano: occhi azzurrissimi, capello biondo, belloccio e un’idea del film d’azione come spettacolo veloce e scacciapensieri. Non potremmo mai sapere se sarebbe diventato un divo, non solo un effimero fenomeno da baraccone in attesa del successo da solista, ma sappiamo che il ragazzo intanto ci stava provando, con veloci action come Bobby Z o recitando in produzioni più meditate, come il caso del Flags of our fathers di Clint Eastwood. Peccato che con i se non si può scrivere la storia del cinema. Peccato davvero.  Andrea Lanza

I film 

 

Essere veloci e incazzati: il fenomeno Fast and furious

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I fast and furious a loro modo hanno cambiato il concetto di film d’azione accellerando, come vuole il titolo, i lati più superficiali dell’action: le belle donne, le macchine strafighe, i deliquenti dal cuore d’oro e poca materia grigia. Di film sulle corse d’auto se ne sono sempre fatti, ma Fast and furious è di più: col tempo ha saputo essere una scuola di pensiero per i giovani (il pubblico con il quale ha più presa) e un modello da seguire per tante produzioni che avrebbero voluto e sono arrivate tardi. Fast and furious  (2001) è la Corona ghiacciata che bevi con gli amici, è l’onore di stampo mafioso che abbraccia il concetto di famiglia, è vivere “un quarto di miglia alla volta” qualunque cosa diavolo significhi, è il tuo capo che ti urla perchè sei in ritardo col lavoro e tu che lo stendi con un cazzotto, prendi la tua collega tra le braccia e, fanculo, vai al massimo come neanche Christian Slater in True romance. Fast and furious è anche e soprattutto Vin Diesel e Paul Walker insieme come Gianni e Pinotto dell’action perchè senza di loro non esiste Fast and Furious. Certo la famiglia di Toretto e company conta al suo interno volti ormai cari ai tantissimi fan della serie, da The rock a Jordana Brewster con il corollario di orientali maestri del volante e neri dalla parlantina facile, ma i big sono sempre e soltanto loro due, Walker e Diesel. Non stupisca allora che la morte di Paul abbia messo nei cazzi la produzione di Fast and furious 7, diretto dal maestro del cinema del terrore James Wan, stufo di bambole malvagie e fantasmi rancorosi. Eh, si non è il problema principale che l’attore ha solo girato metà pellicola, ma il dubbio di fare flop al botteghino senza Walker nei panni di Brian Cooper. Ed è lo stesso leggittimo dubbio che nascerebbe se, Dio non voglia, Vin Diesel dovrebbe mancare. Ma alla fine questi Fast and furious come sono?

I critici snob, le signore dalla figa sempre profumata, i milanesi bene con la r moscia e il miliardo facile sono tutti concordi, e lo dicono sempre nei salotti da tè che frequentano: Fast and furious è merda, al pari del figlio dell’operaio che vuole fare il dottore. Noi invece che mangiamo Kebab, a noi che ci puzza l’alito di cipolla e siamo fieri di essere “brutti, sporchi e bastardi”, non odiamo i Fast and furious e li vediamo con piacere. Oddio, non che siano capolavori, ma se si esclude un brutto numero 2 e un orribile numero 3 (quelli senza la coppia di cui sopra), sono bei giocattoloni che piacciono anche a chi di auto non capisce nulla. Fast and furious fa sorridere, è pieno di colpi di scena, di personaggi che muoiono un capitolo prima e l’altro risorgono come fossero zombi, di Gina Carrano, di cazzotti, miliardi spesi nelle scene d’azione. E’ cinema fast food (ma il titolo è sincero e dà quello che promette) che ogni anno, un po’ come i cinepanettoni, porta in sala milioni di spettatori in un appuntamento con personaggi che sono diventati con gli anni tuoi amici. Non male alla fine.  Andrea Lanza

Pawn shop chronicles (2013)

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Pawn shop chronicles è il quinto lavoro del sudafricano Wayne Kramer (dopo Blazeland, The Cooler, Running e Crossing Over). Forse più noto come sceneggiatore del celebre Nella mente del serial killer di Renny Harlin, Kramer può vantare, però, una carriera significativa, se consideriamo soprattutto se consideriamo la sua lunga gavetta. Pawn Shop Chronicles (Cronache del banco dei pegni) è un divertentissimo “pulp”, un mix di azione, thriller e commedia che si ispira chiaramente al modello tarantiniano di Pulp fiction. In un paese della provincia americana, attorno al banco dei pegni gestito da Alton (Vincent D’Onofrio) si intrecciano le vicende di vari personaggi: tre scalcinati rapinatori, Raw Dog, Randy e Vernon (Walker, Norman Reedus e Lukas Haas), vogliono compiere una rapina ma si trovano coinvolti in una grottesca resa dei conti; Richard (Matt Dillon) si mette sulle tracce della moglie, scomparsa anni prima, e la ritrova prigioniera di Johnny Shaw (Elijah Wood), un crudele erotomane che tiene schiave numerose ragazze; Ricky Baldoski (Brendan Fraser) è un bizzarro imitatore di Elvis Presley che gira la contea in certa di fortuna, senza successo, fino a quando incontra un misterioso personaggio che gli propone un patto alquanto strano. Le tre storie sono introdotte da un disegno a fumetti che rappresenta la scena iniziale, il che già suggerisce lo stile “pulp” del film: le vicende e i personaggi sono volutamente esagerati, grotteschi e sopra le righe. La narrazione riesce a passare con fluidità da situazioni comiche a scene d’azione (la sparatoria nel primo episodio), fino a sequenze estremamente violente (una su tutte, Elijah Wood infilzato con gli uncini da pesca e torturato – scena ripresa con un mirabile piano sequenza). Squisitamente tarantiniani sono anche i dialoghi (frenetici e incentrati spesso su banalità) e gli intrecci fra le varie storie: nel corso del film, di frequente vediamo le stesse scene riprese attraverso vari punti di vista. Naturalmente Kramer non è Tarantino, dunque regia e sceneggiatura non sono così rigorose, ma il film funziona benissimo, risultando un discreto omaggio e un ottimo prodotto d’intrattenimento. Tutti i personaggi ruotano attorno al banco dei pegni, dove il proprietario dà vita a dialoghi surreali con un amico di colore e dove vengono depositati o presi vari oggetti che danno il via alle storie (rispettivamente: un fucile, un anello e un medaglione). Paul Walker compare solo nel primo episodio (circa 30 minuti), non a caso quello più ricco d’azione: già diretto da Kramer in Running, interpreta qui il delinquente Raw Dog. Tossicodipendente come i suoi compari, è vittima di allucinazioni che lo spingono a deliri di vario genere. Più che sui muscoli e sull’azione, qui Walker gioca molto sulla mimica facciale e corporale, confermando quindi di essere un attore istrionico: a causa della droga, è soggetto a continui e frenetici spasmi che rendono il suo personaggio ancora più grottesco.  Davide Comotti

Vehicle 19 (2013)

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Capita ogni tanto che i produttori più spietati si mettano in testa che non serva una vera trama per fare un film, basta la semplice star ad attirare il pubblico di gonzi. Questo deve essere passato nella testolina dei produttori di Vehicle 19 quando hanno assoldato un Paul Walker mai così mercenario per un sotto Fast and furious girato in Sud Africa. Tutto al minimo sindacale: budget risicato, poche auto, meno donne e Walker che cerca di essere un po’ Toretto e un po’ il suo Brian Cooper. Fallendo su tutti i fronti sia ben chiaro. Quello che manca a Vehicule 19 è la tamarraggine genuina dei fast and furious: anche l’essere coatto non è un diritto di nascita e non lo si può improvvisare a tavolino. Il regista Mukunda Michael Dewil, un signor nessuno, gira in maniera eccessivamente concitata senza regalare però, si badi, il benché minimo ritmo alla pellicola. Paul Walker, nei panni dello standardizzato eroe che suo malgrado si trova braccato da polizia e criminali vari, eccede in faccette con una recitazione mai così gigionesca e tendente al parodistico. E’ l’andazzo di un film che dura neanche un’ora e mezza e sembrano tre: tutto già visto e dimenticato quando spegni la tv. (A.L)

Bobby Z. – il signore della droga (2007)

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Tra tutti gli action girati da Paul Walker questo Bobby Z è senza dubbio uno dei migliori: bella trama di genere, buone scene d’azione e tanta ironia. Alla base c’è un gioco d’identità che tradisce il modello di Face/off dove un ex marine, condannato all’ergastolo, si troverà costretto ad interpretare un signore della droga appena deceduto e a lui somigliantissimo. Paul Walker, capello lungo e barba trasandata, cerca di sporcare, almeno all’inizio, il suo clichè di eroe immacolato. Qui interpreta il suo Tim Kearney con convinzione e una grinta che, dai tempi del cult The Skulls, sembrava non possedere più. Siamo in territorio Robert Rodriguez con sparatorie in salsa messicana, ma senza dimenticare, negli inseguimenti in auto, che l’attore principale è il divo di Fast and furious. A completare il piatto gustoso ci pensa l’interpretazione convinta di Laurence Fishburne, nei panni di un agente della DEA, e la bellissima Olivia Wilde in quelli della mogllie del vero Bobby Z. All’epoca questo film, almeno in Italia, fu trattato malissimo, con doppiaggio non eccelso e uscita furtiva in DVD, ma vale la pena darci un occhio. (A.L)

Flags of our fathers (2006)

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Flags of our fathers fa parte di un dittico diretto da Clint Eastwood, insieme a Lettere da Iwo Jima dello stesso anno, incentrato su una doppia visione e interpretazione della medesima battaglia: dal punto di vista americano il primo, giapponese il secondo. Flags of our fathers dei due, è quello baciato da maggior successo, forse perché più vicino alla nostra sensibilità occidentale, ed è incentrato sulla celebre fotografia – scattata dal Premio Pulitzer Joe Rosenthal – che ritrae cinque marines e un marinaio intenti a issare la bandiera americana sul monte Suribachi. Epico e antimilitarista, racconta la Storia (e le storie) della battaglia partendo dai nostri giorni: in un’ipotetica indagine, il figlio di uno dei soldati immortalati da Rosenthal intervista alcuni reduci per capire cosa sia successo davvero durante quei giorni. Attraverso i loro racconti in flashback, che occupano il grosso del film, scopre così gli orrori e le menzogne che furono celate dietro una fotografia, presa come simbolo del successo americano e come incentivo al patriottismo. Lungi dal voler realizzare un’opera documentaristica, Eastwood mette in scena un racconto corale e commovente, costruito su vari livelli temporali: dalle lunghe e spettacolari sequenze d’azione (lo sbarco, i combattimenti, i bombardamenti) alle crudeltà della guerra (notevoli le scene di sangue), dall’analisi dei rapporti fra i commilitoni al reinserimento dei reduci nella società civile – dove furono acclamati come eroi anche contro la loro volontà. In Flags of our fathers (Le bandiere dei nostri padri) l’eroismo è infatti messo al bando, o meglio è privato del significato retorico e patriottico e confinato al sacrificio dei singoli. Paul Walker interpreta un personaggio importante ai fini della trama, ma che trova poco spazio sulla scena: Henry “Hank” Hanson, uno dei soldati che piantarono la prima bandiera sul monte Suribachi (quella ritratta nella celebre fotografia è la seconda). Il volto da duro e il fisico granitico sono perfetti per il ruolo, ma purtroppo Walker compare in poche scene e la vicenda narrata lascia il personaggio in secondo piano, senza riuscire a svilupparlo  dal punto di vista psicologico. (D.C)

Running (2006)

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Questo è un estratto dalla prima recensione pescata sul web di Running (orribile il titolo italiano, che togliendo la parola “scared” lo fa sembrare un film sul footing): Wayne Kramer gioca a fare il Tarantino, scegliendo strade battute mille volte. Il mix è sempre il solito: azione, violenza e ancora azione in quantità industriali. Il tentativo di attualizzare e contestualizzare il tutto, concentrandosi magari sulla figura di un bambino ed il fatto che utilizzi un’arma da fuoco, è risibile e patetico, anche e soprattutto perché mai sorretto da uno script che si ispira a mille a autori diversi, senza riuscire mai a dimostrare di avere una propria precisa identità.” Queste parole racchiudono un po’ quello che gran parte della critica sembra pensare di questo film. Non solo a Kramer non gliene frega una mazza di fare Tarantino ma ha ancora meno voglia di attualizzare un qualsiasi aspetto del suo film. Running scared infatti fa di tutto per allontanarsi dalla realtà, donando al film un atmosfera da fiaba nera. Un Alice nel paese delle meraviglie al neon, urbano e sotto anfetamine. Il pappone, vestito rigorosamente da mack-daddy anni ’70, è il cappellaio matto, la puttana dal cuore d’oro è la fata buona, lo sbirro corrotto l’orco cattivo e cosi via. Il film di Kramer è zeppo di improbabili personaggi: un russo psicotico con un gigantesco tatuaggio di John Wayne sulla schiena, pedofili e mafiosi italo-americani tra i più kitsch mai visti sullo schermo. Basta ascoltare l’efficace colonna sonora e vedere i bei titoli di coda per riuscire ad assegnare il correspettivo “fatato” ad ogni personaggio. Kramer, che firma anche la sceneggiatura, dissemina la storia di riferimenti a note fiabe e racconti per bambini.

L’incipit della trama è semplice: il mafioso Joey Gazelle (Walker, subentrato solo dopo l’exit, all’ultimo momento, di Thomas Jane), coinvolto per caso nell’uccisione di un poliziotto corrotto, deve recuperare la pistola che lo ha ucciso, che metterebbe nei guai il suo padrino nonché la mafia russa. Ad averla sottratta, dal suo scantinato, è il bambino della casa affianco, compagni di gioco del figlio di Joey. Così inizia una ricerca rocambolesca per la città. Il film si svolge prevalentemente di notte. Pozzanghere e asfalto umido. Neon lampeggianti e vicoli mal illuminati. Esattamente come nelle fiabe ci deve essere un “suspencion of disbelief” e cioè l’accettazione dell’assurdo, per poter apprezzare il film, che è stracolmo di scene e scenette legate tra di loro da un filo sottilissimo. Per cui dai corridoi asettici di un ospedale ci si trova nell’appartamentino immacolato e perfettamente illuminato di una coppietta borghese, che si riveleranno essere due pedofili dalla perversione inaudita. Sezione del film, tra l’altro, tra le più riuscite ed anche qui troviamo un chiaro riferimento alla dimensione fiabesca. Nel bagno del malefico duo una bottiglietta di medicinali ha la scritta Hansel. Hansel e Gretel: storia di una strega che attrae i bambini nella sua casa per poi mangiarli. Walker, (così come la splendida Vera Farmiga nel ruolo della moglie) da la sua migliore performance in assoluto. Da ripescare assolutamente. (E.E)

Trappola in fondo al mare (2005)

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John Stockwell non è mai stato un grandissimo regista: di solito i suoi film sono un connubio inscindibile di belle fighe e scene d’azione. Tutto il resto è contorno, sia i trafficanti di organi di Turistas siano gli squali di Dark tide. A lui, attore nel cult Christine di John Carpenter, le storie troppo complesse non interessano: me lo immagino palestrato a godersi, bicchiere alla mano, lo stesso mare che fa da sfondo a molte sue opere a base di surfiste. Questo Trappola in fondo al mare non fa altro che confermare la regola di superficialità delle sue opere: a contare sono soprattutto i corpi, perfetti e scultorei, sui quali inventare una storia qualsiasi, con le stesse ambizioni artistiche che potrebbe avere un porno. Paul Walker è qui, nel 2005, fresco dai successi di Fast and furious, in un ruolo intercambiabile con qualsiasi bagnino del serial Baywatch. Non va meglio con i suoi patner, soprattutto la bellissima Jessica Alba che giustamente meritò all’epoca un razzie award. Certo potremmo parlare della storia che mischia tesori in fondo al mare con traffici di droga, ma a qualcuno interesserebbe veramente? Da segnalare solo un cattivissimo Josh Brolin che da’ a tutto il cast un po’ di lezioni interpretative. Ah dimenticavo: il relativo successo commerciale dell’opera spinse i produttori a stanziare un numero 2 ancora più orrido. (A.L)

Radio Killer (2001)

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Radio killer (2001) di John Dahl è un thriller “on the road”, serratissimo e appassionante, che in certi momenti sembra strizzare l’occhio al più celebre Duel (1971) di Steven Spielberg. Protagonisti sono i due fratelli Lewis e Fuller Thomas (Walker e Steve Zahn), che viaggiano nel deserto americano a bordo di un auto per raggiungere l’amica Venna. Durante il viaggio decidono di fare uno scherzo ad un camionista contattato mediante radio CB: ma l’uomo è un feroce psicopatico che non accetta di essere preso in giro e inizia a perseguitare i due, fino a sequestrare Venna e l’amica Charlotte. La storia è congegnata in maniera perfetta, in modo da lasciare i protagonisti (e lo spettatore) senza un attimo di tregua: pochi sono i momenti di calma, e gran parte del film è occupato dalle trappole e dagli agguati che il camionista mette in atto contro i ragazzi, per spaventarli, umiliarli e infine per cercare di ucciderli. La tensione è alternata con alcuni ottimi dialoghi dal sapore vagamente tarantiniano, per la frenesia e la divertente esagerazione che li pervade. I paesaggi mozzafiato e le efficaci interpretazioni completano l’opera. Non c’è molto spazio per l’approfondimento psicologico, ma i personaggi sono ben caratterizzati, in particolare i due fratelli: il timido e innamorato Lewis contrapposto allo scapestrato Fuller. Paul Walker offre una buona performance, e nello stesso anno di Fast and furious dà vita a un altro asso del volante, che vedremo spesso compiere acrobazie in strada per sfuggire al micidiale camion. Walker ha modo di esibire anche il suo bel fisico nella divertente scena in cui i due fratelli sono costretti da Chiodo Arrugginito a entrare nudi nella stazione di servizio. (D.C)

The Skulls (2000)

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The Skulls – I teschi (2000) di Rob Cohen è un thriller che  ruota intorno ad una teoria di complotto: una sorta di Society (Brian Yuzna, 1989) epurato delle parti splatter e soprannaturali. È la storia di un ragazzo, Luke McNamara (Joshua Jackson), che sta per iscriversi ad una prestigiosa università e sogna di entrare a far parte dei Teschi, una potente associazione segreta che può garantirgli denaro e successo: insieme a lui, compie il rito d’iniziazione anche Caleb Mandrake (Paul Walker), figlio del presidente della società. Una volta entrato nei Teschi, Luke scopre che vi fanno parte numerosi e importanti uomini politici: soldi e protezione non tardano ad arrivare, ma la situazione precipita quando un amico viene trovato morto, apparentemente suicida. Luke non crede a questa ipotesi e inizia ad indagare, finendo al centro di poteri occulti e giochi politici che mettono a rischio la sua vita. Pulito e lucido dal punto di vista sia narrativo che stilistico, The Skulls  ci regala una delle migliori e più intense performance di Walker. Nei panni del giovane rampollo di una ricca famiglia, ricopre un ruolo fondamentale e inquietante: membro fedele dei Teschi, sguardo duro e personalità forte, è pienamente a suo agio nel muoversi fra i gangli del potere, supportato dall’austero padre (il Craig T. Nelson di Poltergeist). Walker dà vita a un personaggio che vive nelle sfumature dato che in qualche modo è fedele alla sua amicizia con Luke e pian piano inizia a dubitare del mondo di cui fa parte, in un crescendo di colpi di scena che darà vita al duello finale (una delle sequenze più belle del film, insieme al furto dei nastri sulle note di Right here, right now e ai momenti ambientati nei lugubri saloni dei “Teschi”). (D.C)

 


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