Ci scusiamo anticipatamente per le semplificazioni e generalizzazioni. L’argomento parte in modo serio, ma vuol essere faceto.
Uno dei metodi attraverso il quale le grandi dittature fasciste e comuniste cercavano di plagiare le masse e distinguere le persone fra chi era dalla propria parte e chi no, era l’estetica. Tagli di capelli, baffi, alcuni erano in linea altri no. Vestiti tutti uguali significava tutti con la stessa idea di società: la camicia nera, l’autarchia, le divise attillate per i fascisti, abbigliamento semplice e pratico da lavoro, anche nel tempo libero per la dittatura del proletariato. I primi ti volevano far sapere che erano giovani, forti e che se non eri come loro eri morto. I secondi che finalmente si era raggiunta una parità e che tutti erano uguali per legge ma che comunque non c’era posto per la diversità: pena il carcere. Non si può fare il “diverso”.
Uno dei fondamenti del pensiero marxista era proprio l’esportazione della rivoluzione: “proletari del mondo unitevi”. Allo stesso modo le conquiste militari della Germania nazista, il colonialismo nostrano, o ancor prima la catechesi Cristiana: “Andate e predicate il mio Vangelo”. Per secoli monaci, suore, preti e frati han girato il mondo per portare la fede. E vestiti che facessero immediatamente comprendere che il cristiano non era più un selvaggio nudo o in abiti discinti, ma un nuovo credente uguale a tutti gli altri uomini battezzati nella fede e in abbigliamento appropriato.
Poi l’ossessione per la moda, resa globale dal passaggio da sartoria e atelier alla produzione di massa e dal prêt-à-porter, fino ad arrivare ai giorni nostri con il 100% made in china e l’industria fiorente dei fake, ha realizzato la vera uguaglianza fra gli uomini e le donne del mondo.
In realtà più che d”uguaglianza dovremmo parlare di omologazione, ma è vero che Louis Vuitton, più che Amnesty, ha fatto la libertà di scelta (d’acquisto?) fra milioni di cinesi.
Tuttavia è proprio l’abbigliamento griffato, più di Fidel Castro, che fa pensare al concetto di plagio di masse.
Non abbiamo girato il mondo in lungo e in largo, è vero. Ma in Europa, nel Nord America, nel Magreb, in Egitto e in Kenya, nell’estremo Oriente di Cina, Giappone o Thailandia dove siamo stati, é possibile vedere che ci sono 11 fra capi ed accessori che indistintamente possono essere incontrati sul proprio cammino. E li vediamo anche fra gli immigrati nel nostro paese, a prescindere da razza, origine e religione.
Papa Francesco lava i piedi ai detenuti in Nike
Fra articoli veri ma costosi a falsi ma cheap, gli uomini diventano uguali, più di altri non grazie a fede, colore della pelle o ideali, ma attraverso l’abbigliamento.
1 – Louis Vuitton. Dal 1896, anno in cui fu lanciata la famosa tela Monogram, quella con le iniziali LV e i decori di fiori, quadrifogli e rombi, quanta gente avrà posseduto un pezzo firmato Vuitton? E se a questi aggiungiamo il mercato del falso, quanto Vuitton avete visto in giro? Più del miliardo dei cinesi. Una cintura o un borsello Vuitton non si rifiuta a nessuno. E non crediate che il mercato del falso tolga fatturato. Con l’arrivo di Marc Jacobs dal1996, l’amore per le griffe degli arabi (a Londra ho visto donne coperte dalla testa ai piedi di nero, in cui si vedevano solo gli occhi e la fodera della tunica logata Vuitton) attualmente l’arricchimento del popolo cinese, e sembra un paradosso, ma anche il periodo di crisi, hanno trasformato questo colosso nel numero 1 per fatturato nel mondo per il lusso dal2006 a oggi. La sua valutazione nel 2012 è di 25.9 miliardi di dollari. Anche il 2013 porta bene.
2 – Nike. Nel 1984 sono stata per la prima volta negli States, le Nike già andavano qua, ma là era un paradiso: c’era una vasta scelta e le vedevi ai piedi di un sacco di gente. Già dagli anni 90 erano diventati un vero e proprio fenomeno globale: nel viaggio in Thailandia del ’92, lungo il Mekong c’erano ragazzi con le Nike, così come nel deserto egiziano. Allora l’idea era di essere un marchio di sportivi per sportivo, coniugando contenuto tecnico e design, un po’la Apple dello sport ante litteram. Le sponsorizzazioni di squadre ed atleti del basket, del calcio (altro movimentatore di masse) hanno reso Nike marchio globale. Just Do It.
Beach Boy in Ray-ban Aviator in Kenya
3 – Ray-Ban Aviator. “Genuine Since 1937”, nascono da un capriccio del Luogotenente John Arthur MacCready e più dei Wayfarer sono l’occhiale che non va mai fuori moda.
Durante la seconda guerra mondiale sono stati la dotazione dei piloti dell’United States Air Force garantendo sia la vittoria degli USA sia la sopravvivenza dell’allora proprietaria del marchio Bausch&Lomb.
I preferiti del Generale MacArthur conferiscono a chi li indossa una personalità forte e sembra che oltre ai raggi ultravioletti filtrino anche le occhiatacce.
Come 76 anni fa, Ray-Ban Aviator con Wayfarer (quelli dei Blues Brothers), Club Master e Jackie Oh, sono una garanzia per chi compra ma soprattutto per chi vende, tecnologia e stile che si pone al primo posto tra i marchi propri di Luxottica.
Protesta pro Tibet in piazza Tienanmen, in Havaianas
4 – Infradito di gomma tipo havaianas. Il primo paio di havainas nasce nel 1962 in Brasile. L’idea nasce dalle Zori giapponesi, motivo per cui tutte le infradito dell’azienda riportano sulla suola un motivo che ricorda la grana di riso, e sono un esempio di “Shoes your patriotism!”, infatti 94 brasiliani su 100 posseggono o hanno posseduto un paio di “brasileiras”…ehm volevamo dire havaianas.
Sono colorate, a volte fluorescenti, semplici ed ecosostenibili: infatti, il 90% dei residui di gomma che rimangono dai tagli vengono riutilizzati per altre infradito.
Miti e leggende per vendere l’Alpargatas ne ha pensate tante ma di certo due cose sono vere: si vendono 6 paia di havainas al secondo e il modello monocolore (quello che vedete più o meno sui piedi di tutti) è stato inventato dai surfisti che rigiravano la suola del modello classico (che nella parte superiore era bianca).
5 – Scarpe in tela All Star, modello Chuck Taylor. Dal basket del 1932 al rock degli anni Ottanta (erano anche le scarpe dei Ramones e degli AC/DC) le All Star della Converse sembrano aver avuto un solo messaggio “l’originalità è uguale per tutti”.
Ricordo che all’ultimo Haineken Jammin Festival, suonavano fra gli altri i Red Hot Chili Pepper, ho pensato: “Se arriva un alieno e fa’ scomparire tutte le All Star, il 90% dei presenti rimane a piedi nudi.
Oggi disponibili in tinta unita ma anche con svariate fantasie di teschi, fiori, frutta o fuoco, e in velluto, stoffa oppure pelle, con borchie o decori. Sono le scarpe dei giovani e di coloro che si sentono ancora giovani, cos’hanno di speciale? Generazioni di determinazione e sogni che si tramandano in una punta bianca.
Shangai Girl in Gucci
6 – Logomania Gucci e D&G. Quello che scrivevamo di Vuitton, vale anche per i leader del Made in Italy Gucci e D&G, i nostri amici Dolce e Gabbana. Borse per lei, cinture e scarpe per lui oramai girano da soli, come si diceva un tempo. Nelle città cinesi dove il fake impazza le parole in italiano più conosciute e pronunciate sono Gucci e D and G. Ci son più fibbie per cinture con queste due lettere che con il logo dell’esercito cinese. Negli States semplicemente Dolce. Per chi se lo può permettere. per gli altri c’è sempre un fake.
7 – Polo Lacoste. Lacoste era un tennista francese degli anni 20, soprannominato Coccodrillo, per via di una scommessa e di come non mollava mai la preda. Nel 33 fondò la sua casa d’abbigliamento sportivo, inventando le polo, cioè t-shirt con colletto e due bottoncini in piquè. Le sue portavano il marchio di un coccodrillo. Da abbigliamento sportivo per il tennis, le polo, con o senza coccodrillo, con loghi di altri sport (vedi Ralph Loren) sono diventate un capo universale. Anche qui i fake impazzano e ci sono più Lacoste o Polo Ralph Loren nei mercati tunisini, turchi o egiziani, che a Parigi o New York. Riflettete. Almeno una polo, anche senza tirar su il colletto, l’avrete avuta nella vita.
Manifestante con cappellino da Baseball Egitto
8 – Cappellino da baseball. Strano a dirsi, ma nacque senza visiera. L’importante era che fosse morbido e regolabile dietro, con velcro ed elastico. Poi negli anni ’20 il mitico giocatore di baseball Babe Ruth lo trasformò nel cappellino come lo conosciamo oggi: con visiera rigida per ripararsi dal sole e con logo degli New York Yankees. Da articolo sportivo subito si arriva a fenomeno della moda. Anche fuori dal campo. il rap e l’hip hop hanno reso il cappellino fenomeno trasversale e, ne son certa ovunque nel mondo, dal Brasile alla Siberia, è possibile vedere un ragazzino con la felpa e il cappellino abbassato o portato a rovescio.
9 – Scritte sbrilluccicanti su t-shirt e jeans. Le conosciamo, le odiamo, le amiamo (ci auguriamo di no), a volte portano scritte senza senso altre messaggi del genere “il bacio è come il whisky, lo si preferisce doppio”. Sono le magliette e i jeans con messaggio, quelle che le teen dei nostri tempi non acquistano se non sono flou e tutto sommato vogliono dire tutte la stessa cosa “sono figa”, “se non hai una scritta non sei figa”, “per essere accattivante devi scrivere qualcosa di stupido”, “ se non sei figa non capisci e tu non lo sei perché non c’è nessuna scritta sui tuoi vestiti”.
All stars Wedding USA
10 – Tute da ginnastica in sintetico. La moda a volte crea le masse, la moda a volte è davvero una matrigna malevola. No, la tuta non è spiegabile, ma non era stata ideata per la palestra o per pulire casa?
Crediamo che la colpa sia da attribuire al talent di Maria, “Amici”, sembra ieri che Marco Carta vestiva la sua tutina blu in finto velluto con tanto di giacca nello stesso materiale fiero e soddisfatto di essere un “Amico” così tutte le persone amiche di Maria hanno iniziato a mettere tute super eleganti come se non esistesse ossimoro né tra il capo e l’eleganza né tra l’aderenza e il sovrappeso.
11 – Maglie/calzoncini da calcio usate per andare a spasso. Questa è la naturale evoluzione di quanto sopra. Chi non è orgoglioso della propria squadra e del proprio giocatore preferito? Ma non bastava, ci chiediamo, attaccare una figurina?
Signori e Signore maglie e calzoncini da calcio usati come un qualsiasi indumento estivo non sono accettabili sia per una questione di buon gusto sia per le diatribe di piazza che possono generare.
Magari a casa durante la partita del cuore sì, magari quando gioca la nazionale possiamo chiudere un occhio, forse meglio che li chiudiamo entrambi, ma questa storia dell’uso giornalier