Sarà una mia impressione ma in questo periodo non faccio che leggere notizie di cronaca su suicidi per difficoltà economiche, violenze sulle donne, genitori fuori di testa che uccidono i figli, magari per poi farla finita con un colpo alla tempia.
Pochi giorni fa mi sono soffermata su quel papà che a Palermo ha sparato al figlio di nove anni e poi si è ucciso; vi riporto le poche righe che ho letto su Repubblica.it:
” Il bambino aveva riportato lesioni devastanti al cervello, causate dal colpo calibro nove esploso a distanza ravvicinata dal padre, Ivan Irrera, l’assistente di polizia che dopo avere sparato al figlio si è suicidato sparandosi alla tempia. Il poliziotto ha lasciato alcune lettere che conterrebbero la spiegazione del folle gesto” e poi: “entra su Facebook di repubblicaPalermo e clicca mi piace!”
Ora, dico io, dopo aver letto queste poche righe, come ci può venire in mente di cliccare “mi piace!”, anche col punto esclamativo?
Credo che sia arrivato il momento di fare una riflessione sulla comunicazione sul web, forse varrebbe la pena che il giornalista che sta pubblicando un articolo magari conti fino a dieci prima di fare invio, anche se questo dovesse andare a scapito dell’immediatezza della presenza sul web.
E poi questo mi piace! che ormai imperversa ovunque, non solo nei social network, lo trovo deleterio.
Che senso ha? É un po’ manicheo, si perdono le sfumature, porta alla superficialità, alla mancanza di approfondimento. Il tutto poi è finalizzato a verificare il gradimento, contare i click, a misurare in qualche modo la propria prestazione, ma con dei parametri assolutamente insignificanti e privi di contenuto.
Per non parlare poi di quello che avviene su facebook dove su qualsiasi stronzata frase o immagine pubblicata sul proprio profilo, fioccano decine e decine di mi piace o non mi piace sulle quali si generano forti aspettative da parte del popolo del web, nella speranza di vedere gratificato il proprio narcisismo. Il fenomeno è particolarmente evidente negli adolescenti che poi sono portati, in maniera compulsiva, a controllare continuamente l’andamento del loro gradimento in rete.
Magazine Pari Opportunità
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