“a me mi piace”Ma non si dice!
I caldi pomeriggi d’estate erano scanditi dal rito quotidiano della merenda, quella estiva, quella con il gelato.
Se negli altri periodi dell’anno la scelta dello spuntino pomeridiano era tra il pane con burro e zucchero, pane pomodoro e sale, lardo e carruba e un bicchiere di latte con il pane, nei tre mesi estivi ambivo al ghiacciolo.
Tutti i pomeriggi alla stessa ora aspettavo che mio padre si sedesse in balcone per fumare la sigaretta e attaccavo:
Babbo mi dai i soldini per il gelato? Quanti ne vuoi, tanti tanti o pochi pochi?
pochi pochi! solo trenta lire! E cosa ci compri con quei soldini?
il ghiacciolo!! Allora non te li do per quella porcheria.
……. sigh, l’entusiasmo iniziale si affievoliva e anche la voce. Non voglio che compri quella robaccia, ti do i soldini per il cremino, ma per il ghiacciolo, no.
tu non l’hai mai mangiato! è bbbbbbuono bbbbbuono buono!! e poi, anche i miei amichetti lo mangiano!! Non è buono quel pezzo di ghiaccio e poi ti fa male. Io so come lo preparano, certo che costa poco, vi fanno lo sconto di cinque lire se gli riportate dieci bastoncini! Per merenda devi mangiare una cosa migliore.
ma a me mi piace!!! Non si dice così …….
Sempre lo stesso dialogo tra me e mio padre. Tutti i pomeriggi, alla stessa identica ora.
Io conoscevo bene il sapore di quel cubetto microscopico dal prezzo esagerato che preparavano nella bottega sotto casa, due gocce di sciroppo al gusto di menta o di limone per colorare il ghiacciolo e la stecca di legno riciclata, per reggerlo. Era piccolo, la grandezza giusta per la mia bocca, il cremino mi si scioglieva in mano, lo strato di cioccolata si frantumava, cadeva e per non sprecare la crema che mi gocciolava sulle mani mi facevo aiutare dagli altri bambini che con due leccate si finivano il gelato.
Io l’avevo mangiato il ghiacciolo, lui come poteva giudicarla una schifezza?
Un pomeriggio, disperata per l’ennesimo rifiuto guardai verso la strada e vidi tutti i miei amichetti, non mi sembrò vero e urlai:
glielo dite al mio babbo che a voi vi piace il ghiacciolo di Maxia (Mascìa, i proprietari della bottega)!
La risposta immediata del coro sotto casa non si fece attendere, occhi sgranati verso di me e l’urlo si levò fino al secondo piano “siiiiiiii a noi ci piace!” Fu tutto inutile, merenda con il cremino. Tutti i pomeriggi alla stessa ora.
Il mio Babbo aveva l’esperienza e la competenza, in quel caso non gli serviva la degustazione per negarmi quell’acquisto sbagliato.
Da parte mia chiamavo a conferma della mia scelta i bambini. che come me acquistavano il ghiacciolo, erano più di dieci e questo mi bastava a sostenere che quella ghiotta merenda mi piaceva! Io i numeri ce li avevo, lui no, tutti contro uno.
Ne io ne i miei coetanei conoscevamo la differenza, inconsapevoli del gusto e della bontà.
Ecco cosa succede quando una ricetta si candida ad un concorso e si chiede di votarla con un click sul “mi piace” che decreterà, in base al numero di gradimenti, la vincita. Più amici hai su facebook, maggiore sarà la possibilità di vincere, non importa che sia robaccia, basta solo un click!
Ci sono centinaia, migliaia di like fasulli che sono il risultato di iscrizioni ai gruppi di scambio like.
Oggi è una data significativa:
è stata organizzata una protesta, con messaggi unificati e con lo stesso logo, contro quei concorsi in cui i vincitori non sono scelti da una giuria, ma sono decretati dai “Mi piace”. Se aderisci alla protesta, condividi questo post e, se hai un blog, pubblicane il testo anche lì.
Ci sono cascata anche io, non avevo compreso l’utilità di questo meccanismo, il mio blog era appena nato e mi sentivo lusingata che un’azienda mi avesse invitato a proporre una ricetta, con specifici ingredienti, a sostegno di una campagna noprofit. Era ben spiegato nella mail, che la giuria preposta alla selezione delle ricette era composta da “alte figure” della gastronomia Italiana.
Ho accettato e ho regalato con slancio il mio tempo, la mia fantasia, la mia adesione e non ultima la mia ricetta. Era un’operazione commerciale con altri risvolti. Ma non è questo il punto, la giuria di Tecnici altro non era che un considerevole numero di “mi piace”.
Queste sono le considerazioni:
i like
- non premiano la bravura e la competenza richiesta
- rappresentano per eccellenza l’anti-meritocrazia spudorata
- sono la versione facebookiana delle lobby, del nepotismo, delle baronie
- danneggiano anche l’azienda che vi si affida (che finisce per fare spam e non pubblicità).
Nella speranza che, insieme, riusciremo a convincere i produttori che esistono altre vie, molto più efficienti ma soprattutto meno mortificanti della caccia al like.“
Molto meglio una sana e golosa competizione a suon di mestoli, pentole e assaggi visivi, ma soprattutto … che vinca il migliore!”
Ringrazio Teresa De Masi, chi a contribuito alla realizzazione del logo e dei testi (in grassetto), e chi insieme a lei ha dato vita a questa protesta.