A volte basta niente per scatenare un rimorso. Nel mio caso è stata questa stupida frase di uno stupido libro: “Quando faceva un programma, Andy includeva regolarmente la piccola Dawn. Quanti altri uomini si sarebbero comportati nello stesso modo?”
Io no di certo. Quando facevo un programma, non soltanto non includevo mia figlia, ma facevo il possibile per escluderla. Una babysitter, una zia, una vicina, un asilo, un orfanotrofio, tutto purché me la togliessero dai piedi. A dire il vero, non l’avevo nemmeno voluta. Prima ancora che mia moglie finisse di annunciarmi che era incinta, avevo già detto “aborto”. Non soltanto pensavo che il mondo stesse già scoppiando senza bisogno di popolarlo ancora di più, ma anche che un figlio mi avrebbe rovinato la vita. Altro che includerlo. Se vai al cinema, in viaggio, a un concerto, se vedi gli amici, se vuoi stare in pace con tua moglie, un marmocchio rompe e basta. Per non parlare dei soldi, del baccano e dell’odore.
Così c’è voluta la promessa che non l’avrei visto né sentito perché accettassi di lasciarlo nascere. Anzi, di lasciarla, perché era una femmina. In effetti i primi tempi non l’ho vista né sentita. Mia moglie si occupava di tutto, io non alzavo un dito. Quando volevo uscire, mia moglie la faceva sparire e si presentava come se fossimo una coppia meravigliosamente libera. In apparenza la nostra vita non era cambiata.
Una sera, tornando a casa, non ho trovato nessuno. Dopo qualche minuto mia moglie ha telefonato dall’ospedale. “La bambina sta male.” “Che cos’è successo?” “Ho chiamato un’ambulanza. Vieni, presto.” Prima di uscire, sono passato dalla camera di mia figlia a prendere il suo orsacchiotto. All’ospedale l’ho trovata a letto. “Che cos’ha?” “Febbre alta e convulsioni.” Le ho messo l’orsacchiotto sul lettino. Lei ha aperto gli occhi, lo ha abbracciato e mi ha sorriso: “Grazie, papà.” Allora ho capito che, se l’avessi persa, mi sarei sentito in colpa per sempre. “Sei un cattivo padre”, mi sono detto. “Riconoscilo e cerca di comportarti come un buon padre.”
Così ho cercato di comportarmi come un buon padre e per tutto il tempo mi dicevo “sei un cattivo padre”. Finché un giorno mi ha dato un biglietto decorato con cuoricini e la scritta “al miglior papà del mondo”. “E’ vero, lo sei”, ha detto mia moglie. Forse, per essere un buon padre, bisogna sentirsi il peggiore.
Dragor
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