Si viaggia per fuggire e si finisce con il rincorrersi attraverso memorie che non hanno stabili dimensioni.
Si viaggia per conoscere il mondo e ci si ritrova a conoscere se stessi con una profondità e verità cui non avremmo avuto accesso altrimenti.
Si viaggia per dimenticare un amico e quell'amico, così lontano e così morto, diventa l'unico compagno con cui si ha voglia di condividere chilometri di autostrada, spiagge e steppe. Si parte sempre con un alibi in tasca che nasconde altre esigenze che spuntano fuori brusche e maleducate davanti allo specchio di un'asettica camera d'albergo. Mi ha fatto pensare alla mia vita Eggers, a quel lungo viaggio californiano in cui persi la diciannovenne preconfezionata che ero, disseminandone ceneri e brandelli. E mi unisco alla voce di Will che nel libro, implicitamente, se lo chiede che senso abbia un viaggio che non sia pesante come una gestazione e doloroso come un parto. Il mio lo ricordo come il più emotivamente terribile, ma fu efficace, rimpolpando il corpo disidratato dall'apatia. Sì, me lo ricordo in questi termini, un po' pomposo e patetico, quasi surreale nella sua drammaticità ottocentesca.
Il prezzo del libro è un biglietto in giro per il mondo, in cui non importa né il dove né il quando e poco importa anche del come. E' un inno allo zaino in spalla, in cui Eggers ai suoi personaggi chiede solo una cosa: la disponibilità a cercare e cercarsi nei loro aspri confronti, nei dialoghi immaginari, nei silenzi. E' un inno alle scelte di chi con poco coraggio torna a casa e di chi, non trovando pace nell'insolvenza di un volo di ritorno, è condotto sempre più lontano. Questo succede a Will ed Hand, uomini giovani ed intelligenti che elaborano un lutto pensando di sfuggirgli e che vengono separati per sempre al bivio delle loro ultime scelte. Eggers mi ha fatto pensare ad un mucchio di cose, per dire la verità. Che un viaggio può essere un lungo e lento processo di espiazione, che è come uno sciroppo antinfluenzale, con un brutto colore ed ancora un più brutto sapore, ma è necessario per guarire. Eggers mi ha fatto pensare che si cambia cambiando e che non tutti i cambiamenti sono fortunati: la chiave è nel tentativo. Ed esistono morti gloriose. Io che ho sempre visto nella morte nient'altro che morte, quindi buio, vuoto, mancanza, assenza, ho capito che alcune morti sono più valorose di altre. Come chi muore in viaggio. E' l'apoteosi della ricerca che per alcuni trova la sua dannazione nell'eternità o la benedizione nella fine. Eggers mi ha detto tutte queste cose, ma me le ha dette meglio di come ve le abbia confidate io, con l'amara ironia che prende vita negli occhi di due uomini che tamponano lo shock culturale paragonando gli infiniti paesaggi del mondo agli innummerevoli volti dell'America, forse perché, come in ogni viaggiatore, a volte la curiosità viene ammazzata dalla paura.