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Continua il confronto con Angela Zurzolo

Creato il 08 novembre 2010 da Domenicolosurdo
Angela Zurzolo ha detto... 31 ottobre 2010 16:07 Gentile Professore,non mi è sembrato necessario approfondire la parentesi storica nel mio post perché quel che ho ritenuto illecito è stato il procedimento formale che ha usato per la costruzione del Suo articolo, prima ancora che il dato contenutistico. Il pezzo mi è sembrato volutamente pretestuoso ed infondato nella correlazione con le affermazioni che sono state attribuite a Liu Xiaobo dalla lettura censoria deformata e di parte dell’invettiva del Morning Post.Che l’occidente abbia le sue colpe per le iniquità perpetrate nel periodo storico da Lei menzionato è fuor di dubbio ma questo discorso non è correlabile con la persona di Liu Xiaobo e potrebbe facilmente fuorviare il lettore ignaro delle premesse alla Sua critica. Non si può considerare tale personaggio come “negazionista” perché non vi è nessun appiglio concreto per la costruzione di una tale accusa. Conviene forse presentarlo così al governo di Pechino per giustificarsi e semplicisticamente per ridestare nell’immaginario cinese il terrore storico per un mostro grande quanto quello che attualmente domina la Cina. Facile gioco dello spostare l’accento per impedire la domanda giusta alla gente e per ridestare il nemico proiettandolo all’esterno.Il solo dato di fatto è che Liu Xiaobo in questo momento è il simbolo delle rivendicazioni di molteplici dissidenti che desiderano costruire in Cina un cambiamento partendo dall’interno, con il sacrificio personale. Che il cambiamento che loro rivendicano sia poi difficilmente ottenibile nel breve periodo e che perché la democrazia arrivi in Cina ci vogliano notevoli stravolgimenti, credo sia altrettanto ovvio. La pressione delle altre nazioni mi sembra sicuramente d’obbligo per aiutare e sostenere queste persone nella difesa dei diritti umani in Cina. La massa silenziosa che sta soffrendo in questo momento in Cina infatti non è meno importante di quella vittima della storia precedente. Non bisogna creare alibi. Adesso la storia ha bisogno di gente che affermi con convinzione che non può più sussistere questo presente, che abbia il coraggio di dire che l’ennesimo mostro del potere sta divorando altre vittime e che non esiste a ciò alcuna giustificazione. Se Liu Xiaobo sia il più meritorio tra i dissidenti o meno, non è più nemmeno importante. Ciò che è importante è che una verità forte quanto giusta che riguarda tutta la Cina si nasconda ora dietro il suo nome.Che un’ideologia si possa nascondere dietro la sovrastruttura mentale di ciascuno, anche di quella di una studentessa di ventiquattro anni che si è sempre voluta tenere lontana dalle logiche politiche e di parte, è probabile. Ma esiste una differenza tra un’ideologia che si accanisce su se stessa, ricercando in se stessa le proprie conferme a discapito della verità ed un ideale. Io mi ritengo un’idealista e non un’ideologa. Anche perché un’ideologia necessita sempre di basi conoscitive ampie, specializzate, specifiche ed approfondite che io non possiedo. Una persona idealista è semplicemente una persona che riconosce le vittime e sta dalla loro parte. Sempre e comunque. Che poi in questo procedimento sistematico si vada costruendo anche un’ideologia è anche fisiologico e connaturato nella mente umana. L’aspirazione però deve rimanere sempre quella ad una verità che superi anche la disonestà del proprio meccanismo cognitivo.Il punto rimane che è necessario usare onestà intellettuale anche all’interno della propria ideologia e continuare a tentare le strade per uscirne fuori e disancorarsene. Per questo io continuo a leggere con grande interesse anche le idee altrui. Perché però sia proficuo questo contestare e contemporaneamente contestarsi, è necessario che ciò che si scrive segua una direzione onesta e fondata che sia sempre ben aderente alla realtà dei fatti e che parta sempre da essi.Cordialmente, Az
Gentile Angela Zurzolo,ciò che le ho rimproverato nella mia precedente risposta non è la disonestà intellettuale ma il dogmatsmo, e la sua replica non fa che confermare la mia critica. Lei celebra la sua «onestà intellettuale», accusando indirettamente l’interlocutore di disonestà; lei si dichiara ispirata solo dall’amore dell’«ideale» e della verità e si contrappone all’interlocutore, secondo lei mosso da «un’ideologia che si accanisce su se stessa, ricercando in se stessa le proprie conferme a discapito della verità». Ecco, il dogmatismo è proprio questo: è l’atteggiamento di chi attribuisce a se stesso eccellenti intenzioni, negandole invece all’interlocutore o all’avversario. Il dogmatismo è sul piano scientifico quello che il fariseismo è sul piano morale. Si può essere dogmatici (e farisaici) anche a 24 anni: non sempre ci si rende conto che la realtà storico politica è così complessa da poter suscitare risposte radicalmente contrastanti, nonostante che a ispirarle sia il comune amore dell’«ideale» e della verità". E’ più facile allor cadere nel manicheismo. Lei non ha dubbi su chi sia il «mostro» (che ovviamente risiede a Pechino) e su chi siano le «vittime» e i difensori delle vittime. Ma facciamo un confronto tra Hu Jintato e Bush jr. (che hanno esercitato il potere per un periodo di tempo pressocché eguale). Il primo ha contribuito a portare avanti una politica che, per riconoscimento unanime, ha strappato centinaia di milioni di cinesi dalla fame e dalla morte per inedia, garantendo loro un diritto alla vita di cui essi non godevano più a partire dalla metà dell’Ottocento, a partire cioè dalle guerre dell’oppio scatenate dall’Occidente. Per quanto riguarda il secondo, mi concentro su uno o due punti, lasciando pure da parte l’orrore di Guantanamo e altri particolari non propriamente edificanti: agitando due menzogne clamorose (il possesso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam e la sua partecipazione agli attentati dell’11 settembre), nel 2003 Bush jr. ha scatenato la guerra contro l’Irak, e l’ha scatenata senza ottenere l’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e quindi calpestando le regole della democrazia nei rapporti internazionali. I risultati sono stati e sono devastanti: decine di migliaia di morti; milioni di profughi; immiserimento generale a causa dei bombardamenti e della distruzione delle infrastrutture; un numero imprecisato di «vittime» torturate a Abu Ghraib e successivamente in prigioni gestite dagli irakeni ma controllate dagli Usa. E per quanto tempo ancora a Falluja i bambini continueranno a nascere col corpo deformato in conseguenza del ricorso statunitense ad armi vietate dalle convenzion internazionali? E non è tutto. La distruzione di ricchezza sociale provocata dalla politica di guerra di Bush jr. si fa sentire oggi anche sulla popolazione americana, che vede drasticamente peggiorare le sue considizioni materiali di vita, proprio mentre esse migliorano sensibilmente nel paese governato da «mostri».Ma concentriamo pure l’attenzione esclusivamente sulla libertà di espressione. Anche in Occidente si può essere condannati per reati di opinione, come dimostra la sorte inflitta ai «negazionisti» (che però non suscitano la sua compassione, nonostante che lei dichiari di essere «sempre e comunque» dalla parte delle «vittime»). Tuttavia, non ho difficoltà a riconoscere che nel complesso in Cina la libertà d’espressione è meno garantita che nel territorio metropolitano degli Usa. (Dico «territorio metropolitano» a ragion veduta: nel 1999 Clinton non ha avuto esitazioni a bombardare la sede della televisione jugoslava e dunque ad assassinare i giornalisti che vi lavoravano).Sennonché, proprio i classici del liberalismo ci hanno insegnato una verità essenziale: la sicurezza è la condizione essenziale perché possano fiorire la libertà di espressione e di associazione e il governo della legge. Negli anni ’50 Washington ha più volte minacciato il ricorso alla guerra nucleare contro la Repubblica Popolare di Cina; ancora oggi cerca di intimidirla con provocatorie manovre delle sue portaerei e delle sue navi da guerra e con una politica di accerchiamento militare.Tutto ciò può produrre solo il contrario di quello che i dirigenti statunitensi dicono di voler perseguire. Piuttosto che mettere in dubbio l’onestà intellettuale di chi non la pensa come lei, la mia interlocutrice farebbe bene a chiedersi se col suo comportamento concreto non finisca col contribuire anche lei a rendere più difficile la realizzazione degli ideali che le stanno tanto a cuore.Domenico Losurdo

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