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Conversazioni

Da Marcofre

Il nono racconto breve: Conversazioni.

Buona lettura.

La pioggia colpisce la superficie del vetro dissolvendo la sottile coltre di polvere, di sporco che lo ricopre. Le cose là fuori, siano alberi, automobili, o palazzi, svaniscono dietro uno strato di acqua sempre più compatto. Passano pochi minuti, e si accendono i lampioni sulla via, sono cerchi di colore giallognolo che precipitano la loro luce sul marciapiede, sulla via che si allontana in leggera pendenza. Ogni tanto, transita una macchina, alza schizzi di acqua dalle pozzanghere, dalle crepe dell’asfalto.

- Comincia a piovere -. Dice il marito; lei, la moglie, non risponde. Ha gli occhi chiusi ma non dorme affatto.

- Hai freddo? -. Le domanda.

- Per adesso no -. Però tossisce, si abbassa il berretto di lana sulle orecchie.

- Lo sai cosa mi piacerebbe, adesso? -. Chiede di nuovo.

- Dimmi.

- Delle caldarroste.

Lei apre gli occhi, si passa le mani bianche sul volto un po’ gonfio, dice:

- Buona idea -. Sorride.

- In via Paleocapa di giorno ci sarà il solito tipo che le vende. Vicino all’oratorio.

- Ma non è più italiano, mi pare.

- E forse nemmeno le castagne sono più italiane -. Si sfrega le mani.

- Anche quelle dalla Cina?

- Non credo -. Dice il marito, dopo averci pensato un po’. – Slovenia, forse.

- Una volta d’inverno, si usciva dal cinema di pomeriggio, e lui era lì -. Ricorda la donna.

- Ci abbiamo visto il primo Indiana Jones, te lo ricordi?

- Anche Gandhi, con la scuola.

- Il cinema non c’è più.

- Noi sì, però -. Lei gli prende la mano, la stringe. Dopo qualche istante la lascia, lui riprende a parlare:

- Hai freddo?

- Me lo hai chiesto poco fa.

- L’età -. Replica dopo qualche istante e si stringe nelle spalle; la moglie ride. Lui aggiunge:

- Siamo solo ai primi di dicembre.

- Non ho freddo, te lo ripeto. Non ancora almeno.

- Meglio la pioggia. Se gela, la vedo brutta.

- Non ci pensare.

- No infatti. Penso ad altro.

- Al colloquio, immagino.

Lui si limita ad annuire, osserva davanti a sé senza vedere nulla. Ha quasi un sussulto quando sente la mano della moglie sulla nuca, che lo accarezza. Lei muove la mano sui capelli.

- Potessimo fare un po’ l’amore come si deve. Come una volta -. Dice la donna. Lui guarda fuori, spinge la propria attenzione oltre il vetro.

Deglutisce.

Piove con maggiore forza, il traffico è una coppia di fari, abbaglianti, oppure luci di posizione, che si avvicinano o si allontanano a intervalli sempre più dilatati.

La mano infine si stacca. Poco oltre, una donna porta a spasso il proprio cane, al riparo di un ombrello piccolo, schiaffeggiato dal vento; infine si allontana quasi di corsa.

Lui si piega un po’ in avanti, alza gli occhi alle luci dell’edificio, qualcuno ha già appeso al balcone, il solito pupazzo di babbo natale che si arrampica.

- Già, – dice, – tra poco sarà Natale.

Poi sposta lo sguardo sulla moglie, e parla:

- Credi che se mi assumeranno, ne verremo fuori?

- Saranno due stipendi invece che uno.

- Per un totale di?

- Andrea, dobbiamo vivere. Provarci. Adesso va così. Migliorerà. Cerca piuttosto di stare tranquillo. E di dormire.

- E’ ancora presto -. L’orologio da polso segna le sette di sera.

- Dalle situazioni difficili se ne esce un passo alla volta -. Dice lei.

Non risponde nulla; rimugina, o forse non pensa a niente. Un lampo illumina le nubi, oltre le alture che chiudono la città.

- Non si sente il tuono -. Dice l’uomo.

- Chiusi qui dentro, è difficile sentire qualcosa.

- O forse il temporale è lontano.

Allunga la mano e col dorso pulisce il vetro appannato. Dice:

- Meno male che quattro anni fa abbiamo preso questa macchina, invece di quell’altra, più piccola, che volevi tu.

- E che almeno questa, siamo riusciti a pagarla tutta.

- E poi patatrac.

- E poi patatrac -. Ripete la moglie; sfrega la schiena contro il sedile, socchiudendo un po’ gli occhi chiari.

- Ci pensi, alla nostra roba? -. Domanda infine l’uomo, con una voce lieve, come se non volesse disturbare.

- Eccome.

- Ieri sono stato a vederla.

- Perché non me l’hai detto? Sarei venuta.

Si passa una mano sul mento:

- C’è una novità. Dice che ha aspettato abbastanza. Che dobbiamo pagargli un affitto se vogliamo che continui a tenerla nel suo magazzino. Altrimenti, la venderà.

Lei gira di scatto la testa, la semioscurità dell’abitacolo rende i tratti del volto appena visibili, eppure duri:

- Ci deve provare. Gli cavo gli occhi. Glielo hai detto, questo?

Tace; allora lo incalza, strattonandolo per la manica del giubbotto:

- Andrea, che cosa gli hai detto?

Respira a bocca aperta, infine parla:

- Ha venduto tutti i libri, e la libreria -. Raccoglie un po’ di coraggio; la guarda. Solo la condensa del fiato la rende viva, per il resto pare irreale. Lentamente, alza la mano destra, la porta alla fronte.

Andrea abbassa gli occhi, sente freddo ai piedi, alle gambe, rabbrividisce, muove le mani sul volante, le stringe, le apre. Riprende a parlare:

- Perdonami se non ti ho detto nulla. Non sapevo come fare. Col mio primo stipendio andremo in libreria, e a costo di non mangiare per qualche giorno, te li ricomprerò tutti, in un’edizione più nuova. Li metteremo nel bagagliaio, spazio ne abbiamo ancora.

Lei scaglia un urlo, apre la portiera della macchina, le gambe sono già fuori.

- Dove vai! -. Grida il marito, trattenendola per un braccio. Riesce a prenderla per le spalle, a costringerla sul sedile, mentre lei continua a gridare, ad agitare i piedi sul marciapiede.

- Simona, ti prego, ti prego -. Scoppia a piangere:

- Perdonami, sono un fallito, perdonami. Uccidimi, ma perdonami -. Sente che le forze scivolano via, ma la donna si sta calmando, non grida più. Restano immobili, inchiodati in una posa da folli, battendo i denti per il freddo.

Simona ritira le gambe inzuppate nell’abitacolo dell’automobile, e chiude la portiera.

- Perdonami -. Mormora ancora, il volto affondato nel grembo di lei. – Te li comprerò tutti, e porterò via la roba da là. Troveremo una soluzione, te lo prometto, te lo prometto.

Lei poggia le mani fredde sul capo del marito, lo accarezza:

- No, no -. Dice:

- Non dirlo mai più che sei un fallito. Non lo sei. Siamo sfortunati, quello sì -. Ricaccia in gola le lacrime, si morde le labbra.

- E poi, – continua, – sono solo libri, in fondo.

- Lo denuncio -, dice lui, – non può fare quello che vuole. Lo denuncio e ce li deve ricomprare tutti, tutti.

- Certo.

- Domani, domani, – alza il capo, – dopo il colloquio, dopo che mi avranno dato il lavoro, mi cerco un avvocato…

- Sì -. Si china e gli bacia i capelli.

- Da non spendere tanto. Gliela facciamo vedere. Non deve fare quello che vuole solo perché le cose vanno storte.

- Sì -. Ripete in un soffio.

- Tu sei intelligente, non dovevi metterti con uno come me. Lo sapevo…

Si china di nuovo su di lui, lo bacia ancora sulla nuca due, tre volte:

- Smettila, – dice -, tirati su e smettila. Ti amo. E’ questo che importa. Al resto c’è rimedio, un passo per volta, senza fretta.

Andrea alza in capo, si passa le mani sugli occhi:

- Dovevo spaccargli la faccia -. Dice.

- Ti avrebbe denunciato, e saremmo in un guaio più grande.

- Hai le gambe tutte bagnate, ti prenderai un accidente.

Simona arretra il sedile, sfila le scarpe, le calze. Con un paio di fazzoletti di carta, si asciuga i piedi.

- Metto in moto, così col riscaldamento della macchina ti scaldi prima.

- No -. E con un gesto della mano lo blocca. Si volta, si mette sulle ginocchia e fruga tra le valigie alla ricerca di calze asciutte, di pantaloni.

- Ce la fai? -. Chiede Andrea; accende la piccola luce dell’abitacolo. Lei non risponde, infine trova quello che le serve. Si sfila i calzoni zuppi d’acqua, e appaiono le gambe bianche, tonde; lui ha un sussulto, si china, e le bacia le cosce con una foga da pazzo.

- Andrea, no, ci possono vedere.

- Piove, – risponde in un soffio, – chi vuoi che ci veda?

Lei lo tira su per le spalle:

- Non ci servono altri guai.

Farfuglia qualcosa; il profumo della sua pelle nelle narici lo rende quasi stupido, poi si dissolve. Punta il gomito al finestrino, appoggia la fronte fredda sul palmo della mano.

Simona finisce di rivestirsi, sistema nel retro la roba bagnata, spegne la luce dell’abitacolo e abbassa il sedile. Prende la coperta di lana, la piega, la sistema attorno alle gambe, poi i lembi li infila sotto la schiena, quasi si immobilizza in una posa da mummia egizia.

- Ho scordato di prendere la tua -. Dice.

- Non ho freddo.

- Sei sicuro? -. Gli domanda un po’ perplessa, nel buio lacerato dai lampi.

- Sì, non ti preoccupare.

- Bada a non raffreddarti.

Simona chiude gli occhi.

- Ti ricordi, – parla il marito, dopo qualche istante, – volevamo andare in Svezia a vedere l’aurora boreale. Dicevamo che era una cosa da vedere prima di essere troppo vecchi per viaggiare.

- Chi dice che non ci andremo?

- Già, – risponde, – come no.

Anche lui abbassa il sedile, si gira su un fianco, e nel buio scorge il profilo della moglie. Allora, la bacia, sulle labbra, sulla fronte, sulle guance: dove incontra le lacrime.

- Non è niente -. Dice lei. – Non mi sono asciugata bene. Buonanotte.

Andrea si distende, mentre il freddo gli prende i piedi, le gambe. Recupera la coperta, s’infagotta per bene.

- Da domani, si ricomincia. Te li ricomprerò tutti, fino all’ultimo -. Dice.


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