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I dubbi sulla figura dell'attuale presidente degli Stati Uniti d'America erano sorti fin dalla sua candidatura, quando appariva chiaro che il candidato democratico avesse una modesta caratura politica, con una mancanza di esperienza amministrativa che faceva apparire la repubblicana, pure così sbertucciata dai media liberal, Palin un titano della politica americana.
Obama era però il candidato giusto con il quale il partito democratico, con i poteri forti che lo sostengono, per tornare al potere, raccontando di un nuovo sogno americano, quasi una nuova frontiera Kennediana (J.F.K. fu l'altra grande menzogna americana) in grado di accendere la fantasia dell'elettorato, come in effetti fu.
Sono però in tanti gli illusi, specialmente nel nostro paese, a credere ad un Obama eletto grazie al "popolo della rete", quando in realtà è stato il candidato che nelle storia delle elezioni presidenziali americane ha ricevuto i maggiori finanziamenti da parte delle grandi banche internazionali e dalle imprese multinazionali.
Il risultato è stato che nessuna delle promesse di cambiamento fatte durante la campagna elettorale è stata mantenuta, in special modo quella di riformare le regole della finanza, in modo da non potersi ripetere una crisi finanziaria come quella che ancora il mondo sta soffrendo. Le regole sono rimaste quelle, come pure gli uomini e le istituzioni.
In molti si riempiono la bocca con l'attesa riforma sanitaria, che avrebbe dovuto fornire a tutti i cittadini l'assistenza sanitaria gratutita, in realtà grande sfida questa, è nuova grande sconfitta, di Hillary Clinton.
Ebbene la grande riforma della sanità obamiana non ha fatto altro che costringere coloro che volontariamente non avevano stipulato un'assicurazione sanitaria a doverlo fare, lasciando ancora senza copertura tutti quelli non in grado di pagarsela.
Ma il peggio è aveunuto nel campo della politica internazionale, laddove Barack Obama venne immediatamente identificato come il fanciullo che avrebbe portato la pace e la prosperità nel mondo intero, tanto che gli fu assegnato un premio Nobel per la pace sulla fiducia, diciamo così.
Una fiducia mal riposta, se durante la presidenza Obama l'impegno bellico statunitense non ha fatto che aumentare, sia in Afghanistan che negli altri teatri di guerra usuali, non mancando di aprirne di nuovi, con manovre di intelligence poco intelligenti.
Ultimo in ordine di tempo quell'ampio arco geografico che è il mondo islamico tra il Nord Africa e il Medio Oriente, dove improvvisamente sono scoppiate rivolte contro i dittatori locali.
Rivolte che solo un ingenuo può ritenere spontanee e che però appaiono passi ambigui e pericolosi verso una "democratizzazione" di quei paesi che appare un'ambizione difficile da realizzare, mentre si potrebbe dare la possibilità allo stabilirsi di nuovi regimi islamici.
Terrificante, in questo scenario, la situazione venuta a crearsi in Libia, dove il tentativo di rovesciare il colonnello Gheddafi è fallito miseramente e dove si rischia un'ennesimo intervento armato americano, che potrebbe far precipitare nel caos tutta questa parte di Mediterraneo.
Che le vere motivazioni di queste manovre siano economiche e legate alla spartizione delle risorse petrolifere dello scatolone di sabbia libico è difficile nasconderlo pure per la propaganda ufficiale, motivazioni che riguardano direttamente il nosto Paese, che potrebbe ancora una volta dover fare la parte del cagnolino più debole escluso dalla spartizione del cibo, metafora questa spesso usata da Enrico Mattei, l'ex presidente dell'Eni che passò la sua vita a cercare di rendere l'Italia energeticamente indipendente dalle sette sorelle petrolifere anglo americane, fino alla sua scomparsa, avvenuta in modo a tutt'oggi misterioso.
Poi dice che uno si butta su Putin.
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