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Cosa può fare l'amore di un pazzo

Creato il 30 settembre 2011 da Presidenziali @Presidenziali

Cosa può fare l'amore di un pazzo

La pelle che abito dell'ormai maestrissimo Almodovar è la dimostrazione ulteriore che non esiste cinema di seria A e cinema di serie B. Esistono solamente grandi autori. Il film con il tema meno forte della sua carriera rischia di passare come uno dei migliori thriller degli ultimi tempi. Merito sicuramente dell'abilità registico-tecnica e narrativa di tirar fuori un plot, che dire efficace è poco, da un soggetto che corre pericolosamente sul filo del ridicolo, trasformando l'assurdo in devastante. Non vorrei svelarvi troppo della trama perchè io che non sapevo niente del film sono rimasto veramente scioccato in più di un occasione. Vi basti sapere che c'è Robert (Antonio Banderas), chirurgo ossesso invischiato in un folto dramma familiare che coinvolge un po' tutti gli strati affettivi e ne riverbera le conseguenze pesantemente.
La follia strampalata di Almodovar questa volta si fa involucro nel racconto e diventa l'arma utilizzata per dettarne i tempi, da usare come detonatore al momento giusto. La narrazione che si accartoccia nella parte centrale e un dirompente uso di feedback e flashfoward, danno veramente quel valore aggiunto su cui Almodovar affonda e coltiva la tensione. Se nel primo tempo assistiamo allo svolgersi della confusa pergamena, nel secondo la lettura di essa trae forza e coesione risultando virulenta e appagante.
Il linguaggio, e qui casca l'asino, che Almodovar utilizza per addentrarci in questa folle fiaba pesca le intuizioni migliori e la forma dal thriller puro (americano), mettendo in scena inseguimenti in moto, il classico taglio della barba a filo, l'incatenamento nel sotteraneo, oppure dettagli alla CSI come quello di un ago; lo stesso Banderas interpreta un personaggio che è la caricatura dello stereotipo di cattivo ambiguo e tremendo, dal cuore nero, alimentato da un amore malato. Infarcendo questa struttura del proprio grano rosso, ridicolizza l'idea di genere, come a volte accade (la scenetta finale in camera di Robert), ma plasma un prodotto non apparentemente originale che forse non piacerà ai puristi, ma che invece ne trascende in gran parte i topoi per suggellare una stile altro che si fa materico e pesante, come a voler dire, ragazzi io il cinema me lo rigiro come mi pare.
A marcare quest'impeto sui generis Almodovar fa parlare tutti, coinvolgendo lo spettatore, facendogli vedere più punti di vista possibile con conseguente aumento della partecipazione emotiva del pubblico che si ritrova a vivere gli stessi accadimenti con l'occhio del carnefice e della vittima, che poi si scambiano continuamente di ruolo.
Verrebbe da dire Autori che si modernizzano. Come nell'ultimo Cronenberg (stilisticamente parlando) l'incubo si plasma perfettamente con una forma incisiva e didattica, fondendo l'anima con il corpo creando di fatto un nuovo linguaggio ulteriormente personale non per questo sminuito, anzi più maturo e compatto. In questo Almodovar supera di gran lunga il collega canadese riuscendo nel non facile intento di stupirci continuamente senza risparmiarci nulla, e senza risultare prolisso, accarezzando dapprima il pensiero per poi colpirci visivamente.
Il tema della natura umana, nascosta sotto strati di vestiti, maschere e pelli (durante tutto il film la gente si sveste e riveste continuamente), che ne confondono la vera essenza viene affiancata dalla solita follia amorosa ancora una volta, portatrice sana di materiale facilmente smembrabile e riassemblabile da Almodovar come meglio crede.
Ottima la quasi aliena Elena Anaya, e Marisa Paredes che ci regala uno sguardo sotto un fuoco notturno che fa gelare il sangue. Oltre a questa almeno un altro paio di scene di cinema puro e in generale perle disseminate qua e la nel tragitto che sembrano voler dimostrare il calore dirompente di un autore che non si accontenta del prepensionamento, ma suggella film su film una carriera che fin'ora (almeno da parte mia) non ha avuto ricadute clamorose, parlando con il linguaggio dell'emozione ingrata, apparentemente così fuori dal tempo, o semplicemente difficilmente emulabile se non da pochi maestri.
Un film prezioso, esagerato nei dettagli, che da più di un punto di vista si avvicina di molto alla perfezione.
voto: 8


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