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Cosa può insegnare Dostoevskij

Da Marcofre

Di recente ho acquistato un ebook (privo di DRM Adobe: c’è bisogno di scriverlo?) che contiene i capolavori di Fëdor Dostoevskij. L’introduzione è curata da Luca Doninelli, per l’editore Garzanti. Ho sfogliato qualche pagina di Delitto e Castigo, e mi è sembrato di essere a casa. Poi mi sono domandato che cosa renda così potenti le pagine di questo scrittore: facile rispondere. Era un genio.
Dopo che abbiamo pagato questo tributo all’ovvietà, proviamo a passare oltre? Cosa insegna Dostoevskij a chi scribacchia?

Il rispetto per i personaggi. Attenzione: non intendo certo affermare che li tratta tutti alla stessa maniera, anzi. Il punto è un altro, e mi sembra interessante sottolinearlo.

Scrivere, e scrivere storie sono due cose differenti. Nel primo caso io “uso” i personaggi per i miei fini, le mie idee. Per dimostrare. Il mondo è zeppo di autori che dimostrano, vivono solo per quello. Se ne incontri uno che dice:

Con questo mio romanzo ho voluto dimostrare…

Allontanati il prima possibile da lui. Sapere che hai qualcosa in comune con lui (abita il tuo medesimo pianeta, purtroppo) è già abbastanza imbarazzante, per quale ragione aggiungerci anche una frequentazione seppur casuale?
Non temere: non resterà mai solo. Il mondo è zeppo di foche ammaestrate travestite da esseri umani che batteranno le mani (o pinne?) a ogni sospiro del suddetto.

Torniamo ai fondamentali. La letteratura, almeno quella che resta, riguarda la scrittura di storie. Forse è meglio ribadirlo: la scrittura di storie. Chi non ne è capace “dimostra”. E infatti pochi sono in grado di farlo.
Come? Ah, i romanzi di Dostoevskij sono ideologici? Dimostrano?

Primo ho scritto del rispetto per i personaggi, e attenzione: è qui che risiede tutto. In Dostoevskij non c’è affatto ideologia perché esiste il rispetto del personaggio, o anche se c’è (voglio venirti incontro) questa occupa il secondo posto. Al primo c’è sempre e solo la storia e appunto i personaggi. Quindi quando senti parlare di ideologia a proposito di Dostoevskij, sappi che è solo un’etichetta che si cerca di affibbiare al lavoro di questo autore per liquidarlo in fretta, e avere l’alibi perfetto per far credere che o dimostri (quindi: sei utile), oppure non sei serio.

Prendiamo Delitto e castigo, uno dei miei romanzi preferiti (ma si era già capito, vero?). Viene pubblicato nel 1866, ma inizia a scriverlo anni prima (1862?). Nel 1849 il mio amico Fëdor è di fronte al plotone di esecuzione, quindi finisce in Siberia, un’esperienza che lo rivolta come un calzino.

Quando si legge Delitto e Castigo è evidente dove sia Dostoevskij: nella seconda parte. Ha riscoperto la fede cristiana, ha abbandonato le idee socialiste, eccetera eccetera.

Però è maledettamente efficace nella prima.

Ecco quindi la differenza tra chi scrive storie, e chi invece scrive per dimostrare. Il primo è in grado di prendere delle visioni del mondo ormai distanti da lui (o addirittura estranee), e riesce a renderle in maniera efficace.

Il secondo, no; in parte perché non possiede né talento né genio. Ma soprattutto perché, divorato dal fuoco della dimostrazione maltratta i personaggi, li piega, e non riesce a essere efficace. Alla fine propone un’opera sbilanciata. La storia? Scomparsa: c’è da dimostrare, al diavolo la storia. E poi i lettori capiranno che siamo dalla loro parte e di certo apprezzeranno; ed è vero. Di solito il lettore apprezza. Ecco perché le librerie sono piene di robaccia.

Certo, Dostoevskij era un genio e come tale ha agito come nessun altro autore. Questo indica che regole e leggi  in letteratura non ci sono (a parte quelle grammaticali e di sintassi: seguirle è una forma di rispetto nei confronti del lettore). Ma quando uno è appunto un genio, può tanto. Ma una cosa non dimentica mai: il rispetto per i personaggi. Hanno una testa, e non è possibile svuotarla per riempirla delle nostre idee o delle nostre visioni.


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