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La Maledizione, puo’ essere una parola, frase o formula, eventualmente accompagnata da un gesto o atto (come l’additare, lo scagliare un sasso, lo sputare in direzione di…), con cui si vuole recare danno a qualcuno, procurargli del male espresso verbalmente nella maledizione.
L’efficacia della maledizione è in funzione della potenza o virtù magica di chi la lancia; particolarmente efficace è la maledizione pronunziata dal fattucchiere, dalla strega o dal sacerdote, oppure con l’assistenza dell’uno o dell’altra.
Più potente di tutte è la maledizione scagliata da un nume (demone o dio). Di qui la tendenza ad associare in qualche modo una divinità alla maledizione per rendere questa più efficace: sia includendo un nome divino nella formula di maledizione, sia addirittura – nelle religioni superiori – mettendo la maledizione sotto il presidio della divinità: così, nell’antica religione di Israele, si ha la maledizione sottoposta alla volonta di Jahvè (cfr. l’episodio di Balaam, Numeri, XXII-XXIV).
La maledizione può essere messa per scritto, e allora opera in modo continuo e permanente; spesso queste maledizioni scritte sono depositate nel santuario di una divinità (cfr., nel mondo greco e romano, le ἀραί e le defixiones).
La maledizione può essere anche condizionata, cioè subordinata al verificarsi di certe condizioni, come la trasgressione d’un precetto, la violazione d’un patto, ecc.; come tale, essa suole accompagnare specialmente l’ordalia, il giuramento, la promulgazione d’una legge, ecc.
Frequentissime nell’antichità (p. es. nelle iscrizioni dell’Asia Minore) sono le imprecazioni contro gli eventuali violatori delle sepolture.
Bibl.: A. E. Crawbey, art. Cursing and blessing, in Hastings, Encycl. of Religion and Ethics, IV; J. Hempel, Die israelitischen Anschauungen von Segen und Fluch im Lichte altorientalischer Parallelen, in Zeitschrift der deutschen morgenländischen Gesellschaft, LXXIX (1925); S. Mowinckel, Segen und Fluch in Israels Kult- und Psalmdichtung, Giessen 1924) (coll. Psalmenstudien, V).
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