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Cosa succede al di là dal Mediterraneo?

Da Suster

Cosa succede di là dal Mediterraneo?
Da tre giorni siamo sintonizzati con la parabola su Al-Jazeera, Al-Arabiya, Al-Maghrebiya... canali Libici (due), anche per farci un'idea dei meccanismi di oscuramento messi in atto dal Potere, quello con la P maiuscola, che è immortale e imperituro, quello che logora, ma non si logora (avete presente: Il mio nemico non ha divisa, ama le armi ma non le usa...)
Ogni tanto guardiamo anche qualche tg italiano, tanto per farci un'idea di come le notizie cambino a seconda della campana che suona.
Hasuna non si stacca dal televisore dieci minuti. E dal telefono.
Continua a tentare di chiamare laggiù. Mamma, Ali, Bilgasim, il dottor Kairi...
Non so se per lui è più angosciante il non ricevere risposta o l'aver constatato che ora i numeri che lui compone risultino inesistenti.
E intanto in tv si ripetono all'infinito le stesse immagini di gente massacrata per strada.
E la gente telefona in diretta ai girnalisti di Al-Jazeera, 24 su 24 collegati con la Libia, e raccontano quello che vivono, e che vedono.
Raccontano di Soldati mercenari neri, africani assoldati apposta dal regime per scatenare l'inferno nelle strade.
Di civili presi di mira da elicotteri, di bombardamenti sui centri abitati, alla faccia dei comunicati ufficiali che parlano di depositi di armi in mano ai rivoltosi.
Di proteste pacifiche soffocate nel sangue, come del resto annunciato dal lungo discorso del figlio dottore del Colonnello, che con fare da arringatore ha spiegato come il popolo abbia costretto il governo a intervenire nella maniera più drastica, senza lasciare loro altra possibilità di scelta.
Di migliaia, e non già di centinaia di morti.
Di città isolate, strade interrotte, acqua ed elettricità tagliate, comunicazioni inesistenti.
Le linee telefoniche sono isolate in tutto il paese.
Qualcuno racconta di aerei caccia italiani.
Il nostro presidente del consiglio e il nostro ministro della difesa ci dicono di non preoccuparci (quando mai?), che le operazioni in atto sono mirate a difendere gli ineterssi italiani in Libia e a consentire il rimpatrio dei connazionali.
Del resto, c'è sempre il pericolo che i fondamentalisti islamici prendano il potere, e in un'area così vicina a noi come la Libia, questo sarebbe assolutamente da evitare!
E così, mentre si proclamano sdegnati per la feroce guerra mossa dal Potere contro la popolazione, mettono avanti entrambe le mani e pure i piedi, espongono attenuanti, si  dichiarano all'oscuro dei fatti e parlano delle "conseguenze economiche" che la rivolta potrebbe comportare per le nostre imprese in Libia.
Ma siamo impazziti?
Stiamo perdendo del tutto il senso della realtà?
Quale rivolta? Chi è il terrorista in questo momento?
Nel giro di tre giorni un paese fino ad allora in pace sta venendo martoriato da bombardamenti, la gente massacrata da squadroni della morte assoldati per seminare il terrore, sparando a tutto ciò che si muove.
Si usano proiettili esplosivi.
I medici  che chiamano descrivono le condizioni disperate dei feriti.
Ancora su Al-Jazeera: si susseguono telefonate di chi è riuscito a raggiungere l'Egitto, o la Tunisia, o di quelli che sono ancora lì, e che riescono ad allacciarsi alle reti telefoniche dei Paesi vicini. Perchè ora su tutto il Paese c'è il totale black-out dell'informazione.
In mancanza di giornalisti (quelli che sono andati sono stati fatti prigionieri, e hanno negato tutto, fino all'ultimo morto), queste testimonianze sono l'unica finestra che ci rimane sulla realtà dei fatti.
Chiama un padre in lacrime, che urla la sua rabbia contro un governo che permette, anzi, che organizza l'annientamento del suo stesso Popolo, la distruzione del suo setsso Paese, in difesa di chissà quale diritto di comandare che si è autoattribuito e che detiene ormai da 42 anni.
Fino a dove può arrivare la follia di un singolo?
Come può un leader, armare e indirizzare la mano di un esercito di stranieri prezzolati contro la sua gente, sguinzagliare questi signori della morte sulla terra in cui è nato e che dovrebbe pure amare, al di là dei vantaggi che da essa è riuscito a trarre per sè e per la sua famiglia dopo una dittatura durata per più di due generazioni?
Ancora una persona telefona e chiede  con insistenza perchè: limada? Limada? Limada? Ripete, e io capisco solo questo: perchè? E me lo chiedo anche io.
Telefona un soldato, uno di quelli che hanno disertato, rifiutandosi di sparare sulla propria gente disarmata.
Racconta di esecuzioni di massa nell'esercito: giustiziati quelli che non volevano attaccare i civili, corpi bruciati, fosse comuni. Non è di centinaia di morti che si parla, ma, come dicevo, di migliaia.
Hasuna segue tutto, poi mi traduce, poi smette, si perde nell'ascolto delle notizie, si arrabbia da solo, e tenta ancora di chiamare a casa.
Io sto lì con lui e capisco poco. Cerco di stargli vicina e non so come poterlo fare.
E' nella sofferenza che senti maggiormente di amre una persona.
Nel silenzio carico di tensione, nell'impotenza di non potergli dare sollievo e conforto.
Una mia mano si allunga a toccargli il braccio, e lui, come mi aspettavo, si ritrae.
Questo è il suo dolore.
Mi chiede se voglio che metta il tg italiano, in maniera che possa seguire anche io, che non capisco l'arabo.
Gli dico: non ti preoccupare.
-Come, non ti preoccupare! Vorrei vedere te al mio posto!
Non è quello che intendevo, ma non è questo il momento di discutere.
Mi immagino al suo posto: sapere tutte le persona che ami in pericolo di morte, e non poter far niente. Non solo: non poter nemmeno comunicare con loro. Non sapere se: sono vivi, stanno bene, hanno paura, se hanno bisogno di lui. Non poterli sentire ancora una volta che potrebbe anche essere l'ultima.
Lui è arrabbiato. E' arrabbiato soprattutto con l'informazione, con il governo italiano, che tentenna e non osa schierarsi apertamente, è arrabbiato perchè non riesce a comunicare con nessuno e sostiene che anche in Italia abbiano oscurato i siti internet e impedito le comunicazioni telefoniche.
Non posso fare a meno di chiedermelo anche io: ma da che parte stiamo? E spero di non dovermi rispondere che, in questo Paese "democratico" in cui viviamo, gli interessi di alcuni vengano prima dei principi basilari di umanità e libertà.
Quello che è successo in Libia è qualcosa di aberrante: un popolo manifesta la propria opposizione a un regime che è in carica da decenni esercitando con la violenza la propria supremazia  e raziando quando poteva raziare. Quei manifestanti vengono attaccati con le armi e sterminati perchè hanno osato esprimere un'opinione, esercitare una libertà. Dopo di che, in maniera sistematica, viene annientato a suon di bombe e attacchi aerei qualsiasi altra velleità di alzare il capo e dissentire. Attraverso il terrore. E cecchini addestrati hanno l'incarico di dissaudere la gente ad uscire dalle loro case, pena la morte.
Quali sono le libertà che diciamo di difendere e pretenderemmo di esportare in Paesi più arretrati ideologicamente e politicamente?
Si farà un'altra missione di pace a suon di fucili e mitraglia? Non è questo il pericolo più grande per la nostra libertà? Quello cioè che chi comanda possa decidere indiscriminatamente della sorte di un intero popolo senza doverne rendere conto a chicchessia?
Solo fino a qualche giorno fa, dopo le rivolte scoppiate in Egitto e in Tunisia, parlando al telefono con mio fratello Ergino, lui mi chiedeva se pensavo che anche in Libia potesse succedere qualcosa di simile. Io gli risposi: ma figurati se in Libia la gente si muove! Sono 42 anni che hanno la dittatura, e tutto sommato a loro va bene così.
Avevo in testa il ricordo di un Paese rilassato e sonnacchioso, come l'avevo visto io da visitatrice andando laggiù qualche anno fa. Di un popolo che viveva la sua vita senza porsi troppe domande, senza particolari aspirazioni, tanto il pane in tavola è comunque assicurato.
Quando, qualche giorno più tardi, anche un po' delusi, con Hasuna guardammo in internet le prime manifestazioni a Bengasi, ci son sembrate le baruffe di quattro gatti, o, come si dice in francese: la mouche qui péte (la mosca che scureggia). Certo non avremmo mai immaginato che si potesse scatenare un casino simile.
Questo dimostra quanto Suster capisca poco di dinamiche storiche.
Suster non capisce molto di politica internazionale, ma racconta quello che vede e che sente, e anche quello che prova, perchè vive assieme all persona che ama l'angoscia e la rabbia di vedere la propria terra devastata impunemente in tre giorni di delirio di onnipotenza di un pazzo.
Questo post non c'entra molto con Pisa & love, ma in questo momento non mi pareva il caso e non mi sentivo in vena di scrivere amenità, poichè da tre giorni stiamo col fiato sospeso, gli occhi alla tv.
C'entra un poco sì con love, anche se parlo di war, perchè sento questo dolore anche mio, e forse non mi indignerei tanto se non mi trovassi coinvolta emotivamente con questo Paese, come sono.
Perchè è vero: le atrocità che ci colpiscono di più sono quelle che ci riguardano più da vicino. Se potessimo, ignoreremmo tutto ciò che nel mondo ci può dispiacere, e farci sentire in fondo anche un po' colpevoli, perchè tutto sommato ci accontentiamo del nostro angolino di mondo fatto di piccole cose, dove la continuità della nostra vita ci sembra assicurata a durare, e non minacciata da eventi funesti improvvisi.
Ma vorrei usare questo piccolo spazio per ricordare a chi mi legge di guardare a ciò che succede intorno a noi, lontano o vicino che sia, con un po' di partecipazione, crecando di tener presente che ogni stima di morti che sentiamo fare in tv equivale a un numero di vite identiche alla nostra, violentemente falciate dalla feroce follia di un potere ottuso, madri e padri che piangono, fratelli, amici, mogli e mariti, figli rimasti orfani.
Le stragi della storia non appartengono solo al passato. Tanto di cappello alla memoria delle morti  passate, ma non indifferenza per quelle presenti.
Se potete ditemi cosa ne pensate.


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