di Alberto Carrara*
*biotecnologo e neuroeticista presso la “Regina Apostolorum” di Roma
Dopo aver considerato, nella prima parte, le evidenze neuroscientifiche a disposizione circa il problema della coscienza, dell’identità personale e del libero arbitrio, in questa seconda parte considererò alcune conclusioni relative a tali esperimenti neuroscientifici.
È fuori discussione e bisogna riconoscere che, almeno a prima vista, i risultati sono sorprendenti. Ciò che ci si aspetterebbe è che l’area mororia della corteccia premotoria non si attivasse prima del prendere coscienza della decisione di eseguire un certo movimento. D’altra parte, però, la sequenza temporale sembra indicare che il cervello prepara il movimento prima che diventiamo coscienti di deciderlo.
In primo luogo, non c’è dubbio che questi risultati costituiscono un gran apporto alla ricerca neuroscientifica. Bisogna però far attenzione all’interpretazione scientifica dei dati concreti e reali che, in non pochi casi, giunge fino ad una vera e propria manipolazione degli stessi. Tutto ciò potrebbe confermare la credenza che sia il nostro cervello una mera macchina causale e che nello spiegare l’agire libero non sia necessaria la coscienza. «Ci troviamo in un settore della scienza moderna nel quale la rigida distinzione tra scienza e filosofia risulta artificiale o, quanto meno, è messa in crisi», come giustamente affermano José Ignacio Murillo e José Manuel Giménez-Amaya[1].
Sono molti i problemi connessi a questi esperimenti. Rimangono ancora problemi tecnici che vengono dibattuti a livello scientifico, specie quelli relativi alla mediazione dell’esperienza soggettiva, la relazione tra coscienza e tempo, la modalità di costruire gli esperimenti, etc. Inoltre, scienziati autorevoli affermano che «la comprensione di come la condotta per propria iniziativa venga codificata dai circuiti neuronali nel cervello umano resta elusiva»[2]. La neurologa e filosofa Adina Roskies è una delle personalità prominenti nel dibattito neuroetico e si occupa da anni di libero arbitrio presso il Dartmouth College ad Hanover, New Hampshire (Stati Uniti). La scienziata, nell’articolo di Kerri Smith, commenta queste evidenze scientifiche affermando che anche se la predizione sia notevole, meglio che il caso, ciò non è sufficiente ad affermare che si possa vedere nel cervello la decisione che la mente prende prima che questa ne divenga cosciente. Tutto quello che questi dati empirici suggeriscono è che vi sono fattori fisici che hanno un certo influsso nella presa di decisione. Ciò però non dovrebbe sorprendere nessuno.
Per filosofi formati in ambito scientifico, questi tipi di studi non costituiscono una buona evidenza dell’assenza di libero arbitrio. Queste sperimentazioni non sono altro che caricature della presa di decisione poichè persino la decisione apparentemente più banale e semplice di prendere un té invece di un caffé, risulta molto più complessa che decidere se premere un pulsante con una mano o con l’altra[3]. Queste critiche della Roskies rispondono al pregiudizio dello stesso Libet che affermava: «è interessante che la maggior parte delle critiche negative alle nostre scoperte e alle loro implicazioni, provengano da filosofi e da altri dotati di una esperienza insignificante nel campo della neuroscienza sperimentale del cervello» [4]. In mezzo a questo dibattito bisogna cercare di chiarire i termini in gioco: libertà umana e coscienza. Come fanno notare José Ignacio Murillo e José Manuel Giménez-Amaya, in tutti questi esperimenti «l’azione libera appare come una causa, vincolata alla coscienza, capace di modificare il mondo fisico. Detto questo, bisogna tenere in considerazione che tale definizione di libertà, anche se può rinvenirsi in qualche autore moderno, non corrisponde al concetto classico di libero arbitrio»[5].
La riflessione sulla coscienza personale e la libertà umana è una sorta di “filo rosso”, una costante che emerge continuamente lungo la storia del pensiero. Per la sua complessità, numerose sono le definizioni e le interpretazioni che si danno della coscienza. Per la neuroscienziata e premio Nobel Rita Levi Montalcini, la coscienza è «tra le proprietà più sorprendenti e affascinanti del cervello umano» che consiste proprio nell’essere consapevole (il cervello) della propria consapevolezza; per coscienza «si intende lo stato di consapevolezza della nostra esistenza come entità individuale, che implica il riconoscimento delle proprie azioni e del susseguirsi temporale e sequenziale»[6]. Nella stessa pagina la neuroscienziata sintetizza anche il rapporto tra coscienza, io (Self) e libero arbitrio quando afferma: «la coscienza collega il nostro io con le esperienze degli eventi, in quanto ci consente di comprendere la nostra esistenza come entità pensante, rendendoci responsabili delle nostre azioni»[7]. La coscienza umana sarebbe così una proprietà, una facoltà, una funzione “emergente” (tutti termini mutuati dalle diverse ridefinizioni che la Montalcini propone) del nostro organo cerebrale secondo la teoria di Gerald Edelman di derivazione della coscienza superiore (secondaria o umana) da quella primaria tipica di tutti i vertebrati superiori[8].
Per quanto concerne la coscienza bisogna distinguere alcuni paradigmi tradizionali: secondo l’accezione psicologica, essa significa l’autocoscienza o consapevolezza che l’essere umano ha di se stesso; secondo l’accezione morale, invece, significa la consapevolezza che l’uomo ha della bontà-malizia dei propri atti; infine, secondo l’accezione personalistico-creativa, essa significa una realtà complessa identificata con la parte intima della persona umana, una sorta di “luogo” interno del soggetto dal quale emergono intuizioni e in cui si formano i giudizi morali. Tommaso d’Aquino, che sintetizza una tradizione millenaria, affronta questa problematica in diverse opere, chiarendo in primo luogo che la coscienza non è né un abito, né una facoltà o potenza, ma è un atto. Infatti, la coscienza include un ordine della conoscenza a qualcosa d’appreso, è l’applicazione della synderesis aristotelica alla concretezza di un’azione[9]. Essa allora potrebbe essere definita come «l’intelligenza orientata verso le cose pratiche»[10].
Per quanto concerne, invece, la libertà, in primo luogo, bisogna specificare che l’uomo, giudicando sul proprio agire in virtù della ragione, può giudicare secondo il suo arbitrio, a differenza degli altri animali, poichè conosce la natura del fine (rationem finis) e i mezzi (quod est ad finem) e la loro relazione mutua[11]. Così l’uomo è dotato di libertà, cioè, è causa sui, essendo non soltanto causa del suo movimento, ma essendo anche causa del suo stesso giudizio in virtù del quale può decidere se desidera agire e come realizzare l’atto. La stessa conclusione si trova anche nella Summa di Teologia[12]. La radice della libertà si trova nella ragione che l’uomo possiede. Quest’ultima lo distingue dagli altri animali che agiscono seguendo il proprio giudizio che risulta determinato a un solo oggetto. Pertanto, non sono liberi. Negli animali vi è spontaneità, non libera scelta[13].
Prendendo le mosse dalla proáiresis di Aristotele, la libertà può essere definita come la proprietà specifica della volontà umana (potenza o appetito razionale) in ordine al suo atto caratteristico che è la scelta[14] e che consiste nella capacità di agire in virtù della conoscenza intellettiva di ciò che è buono, del bene, o più precisamente, del bene in quanto bene. Quest’apertura della volontà nella scelta caratterizza uno degli aspetti propri dell’essere umano. Non c’è dubbio che quest’indeterminazione avviene all’interno di un margine di determinazione, anche cerebrale, che è definito dai limiti stessi della natura umana e di ciò che l’uomo può effettivamente compiere. In definitiva, gli esperimenti neuroscientifici, dato che non coinvolgono né un fine precedentemente conosciuto, né la varietà dei mezzi per raggiungerlo (non considerano neppure perciò il loro reciproco rapporto), non sono diretti alla caratterizzazione della libertà umana. Non è in gioco una scelta libera, bensì l’esecuzione di un semplice atto privo di qualsiasi motivazione. Non è contemplata alcuna ragione di bene.
È utile, inoltre, ricordare che nell’agire umano si distingono due cose: la scelta sul da farsi, sempre in potere dell’uomo, e la gestione o esecuzione degli stessi atti, non sempre in suo potere. Per questo non si dice che l’uomo è libero delle sue azioni, ma che è libero della sua scelta, che è il giudizio sul da farsi[15]. A questo punto, se la coscienza è l’atto o «l’intelligenza orientata verso le cose pratiche»[16] e la libertà è quella proprietà specifica della volontà umana in ordine al suo atto caratteristico che è la scelta[17] e che consiste nella capacità di agire in virtù della conoscenza intellettiva di ciò che è buono, del bene, o più precisamente, del bene in quanto bene, allora mi sembra valida la definizione della Montalcini sul rapporto tra coscienza, io (Self) e libero arbitrio: «la coscienza collega il nostro io con le esperienze degli eventi, in quanto ci consente di comprendere la nostra esistenza come entità pensante, rendendoci responsabili delle nostre azioni»[18]. Tale definizione ovviamente va integrata all’interno di un contesto non riduzionistico e materialistico della persona umana. In effetti, la stessa neuroscienziata precisa che «attualmente non sia ancora possibile la comprensione della natura del meccanismo attraverso il quale gli stati interiori si trasformano nel processo della coscienza»[19].
Sembra proprio azzeccata la conclusione che José Ignacio Murillo e José Manuel Giménez-Amaya suggeriscono: «tutto ciò evidenzia, ancora una volta, che per concludere un’approssimazione sperimentale e scientifica a certi problemi, come quello relativo alla libertà, conviene conoscere ciò che le diverse correnti filosofiche hanno già detto»[20]. Le false interpretazioni dei risultati a livello di elettroencefalografia e di immagini di risonanza magnetica funzionale non sono facilmente smascherabili da un pubblico poco esperto. Perciò, al momento di interpretare i dati neuroscientifici c’è bisogno di molta prudenza ed equilibrio. Bisogna ricordare che l’esperienza umana, proprio per essere “umana”, si caratterizza per una ricchezza e una complessità senza paragoni, tant’è che può persino arrivare ad affermare liberamente che la libertà è una mera illusione.
Lo stesso Tolstoi lo riconosceva: «voi dite che io non sono libero… ma chiunque capisce che questa illogica risposta è una inconfutabile prova del mio libero arbitrio»[21].
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Note
[1] J. I. Murillo – J. M. Giménez-Amaya, Tiempo, conciencia y libertad: consideraciones en torno a los experimentos de B. Libet y colaboradores, «Acta Philosophica», 11 (2008), pp. 291-306.
[2] I. Fried (et al.), Internally Generated Preactivation of Single Neurons in Human Medial Frontal Cortex Predicts Volition, «Neuron», 69 (2011), pp. 548-562.
[3] A. Roskies, Neuroscience vs philosophy: Taking aim at free will, «Nature», 477 (2011), pp. 23-25.
[4] B. Libet, The Timing of Mental Events: Libet’s Experimental Findings and Their Implications, «Consciousness and Cognition», 11 (2002), pp. 291-299.
[5] J. I. Murillo – J. M. Giménez-Amaya, o.c., pp. 291-306.
[6] R. Levi-Montalcini, Abbi il coraggio di conoscere, Bur Rizzoli, Milano 2004, p. 25
[7] R. Levi-Montalcini, o.c
[8] G. J. Edelman, Sulla materia della mente, Adelphi, Milano 1993.
[9] S. Thomas Aquinas, S. Th. I, q.79, a.13, c.
[10] S. Bonaventura, Sent., lib. 2, dist. 39, a. 2, q. 1.
[11] S. Thomas Aquinas, Quaestiones disputatae de Veritate XXIV, a. 1
[12] S. Thomas Aquinas, S. Th. I, q.83, a. 1, c.
[13] S. Thomas Aquinas, Quaestiones disputatae de Veritate XXIV, a. 2.
[14] S. Thomas Aquinas, o.c., a. 6.
[15] S. Thomas Aquinas, Quaestiones disputatae de Veritate XXIV, a. 1, ad. 1.
[16] S. Bonaventura, Sent., lib. 2, dist. 39, a. 2, q. 1.
[17] S. Thomas Aquinas, Quaestiones disputatae de Veritate XXIV, a. 6
[18] S. Thomas Aquinas, o.c..
[19] R. Levi-Montalcini, o.c., pp. 27-28.
[20] J. I. Murillo – J. M. Giménez-Amaya, Tiempo, conciencia y libertad: consideraciones en torno a los experimentos de B. Libet y colaboradores, «Acta Philosophica», 11 (2008), pp. 291-306.
[21] L. Tolstoi, o.c., p. 366.