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Cose che (non) ci siamo dette

Creato il 24 novembre 2013 da Frogproduction
COSE CHE (NON) CI SIAMO DETTECOSE CHE (NON) CI SIAMO DETTE
Dammi risposte complesse. Così Gipi. Di fronte alla bellezza di unastoria di Gipi e di Una sterminata domenica di Claudio Giunta (rimando anche al suo sito, dove ci sono materiali estratti da poter leggere), verrebbe da ammettere che no, io al momento non posso dare risposte complesse e restituire quanto ho ricevuto e forse nemmeno fare domande complesse. E dunque la miglior cosa è chiedere risposte complesse. Poi la bellezza si esprime in varie forme, e le tavole di Gipi in qualche modo contraddicono il suo assioma, perché travolgono con una immediatezza tale che uno vorrebbe abbandonarsi a quella forza e tacere. Che sia una forza triste o gioiosa. Invece nella bellezza della raccolta di saggi di Giunta, ma vale anche per tutti i saggi nei quali riconosciamo un dono, ci sono alcuni aspetti che a volte insinuano dei dubbi ricorsivi, dubbi che si pone l’autore stesso, circa la possibilità di scrivere saggi sull’Italia e sul mondo che non scadano nella costernazione, nel moralismo, nel lamento dell’intellettuale. Scrivere dalla prospettiva dell’osservatore partecipante che a seconda del grado di approssimazione parlerà come Leopardi rifiutando la consolazione e l’inganno puerile, oppure come una guida al meeting di Comunione e Liberazione ( CL ), per la quale la conquista dell’Africa e dell’America è stata un’allegra scampagnata, in amicizia. Per questo ci sono le medicine. Non c’è niente come il pop, per schivare la costernazione, basta non fare attenzione. Parole di Giunta. Potrebbe essere una canzone de I cani. E a questo punto solo Lisa Simpson avrebbe la forza di ribattere. E il passo successivo è il disagio che comporta a volte questo chiedersi il perché delle cose, disagio non solo privato, per la vastità e per l’impotenza, ma anche per i rapporti con gli altri, come emerge ancora dal primo dei saggi di Giunta, quello sul meeting di CL, Anything goes. È il disagio che si prova a sentirsi estranei e in qualche modo superiori di fronte a ciò che pensano gli altri, e in questo caso a chi procede non tanto e non solo con la certezza della fede, ma con la fede nella certezza ( se ne è venuto fuori un gioco di parole à la Renzi, abbiate pietà ). E uno vorrebbe che l’abbraccio fraterno possibile non avvenga né con gli occhi strafatti della certezza né con quelli insinceri della condiscendenza, vorrebbe trovare l’immediatezza di un abbraccio e basta.
Dal momento che non si capisce molto di cosa sono fatte queste due opere, rimando ai link per le rispettive schede. Questo in fondo è solo un consiglio di lettura.

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