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Creatività, gioco, narrazione: il valore profondo delle prime esperienze della soggettività

Da Jessi

Quando disegna, nostra figlia disegna così (Il cielo stellato):

Arte per bambini

Il cielo stellato

Quando gioca, crea mondi, relazioni, inventa litigi, paci e a volte anche una sorella, e da qualche giorno anche un fratello (più grande, di nome Carlo!).

Per i suoi amici giocattoli, ha parole di tenerezza, oppure li mette in riga dicendo “Tutti zitti!” C’è bimba serpente che è piccola e prende ancora il latte della mamma, Tea il dinosauro che mangia insalata e il piccolo squalo che è proprio uguale uguale a Bruto (quello di Nemo!).

Quando narra storie, Bibì crea e ricrea situazioni vissute o fantastiche: lupi, mostri, serpenti, leoni, bambini che cercano la mamma o che giocano con gli amici.

Che senso ha tutto questo? Che senso hanno tutte le pratiche di creatività e espressione, in cui i bambini siano liberi di usare i colori, gli oggetti, le parole per esprimersi? Che ruolo abbiamo noi grandi in questi giochi?

Trovarmi di fronte alla risposta di mia figlia, in una notte di primavera, mi ha davvero emozionata.

Era il sabato prima di Pasqua e Bibi non voleva saperne di andare a dormire: nessuna coccola, nessun gioco, nessuna storia, niente sembrava interessarla. Eravamo fuori casa, ma questo di solito non aveva mai rappresentato un problema. Avevamo alle spalle una giornata ricca di sole, passeggiate e nuoto. C’era il papà, eravamo tutti insieme e non era successo niente di straordinario.

Verso mezzanotte, mi chiede il latte. Sempre meglio degli spaghetti, ho pensato. Sulla tavola apparecchiata per una prematura colazione, ci siamo messe a giocare usando i biscotti come personaggi: c’erano i grandi- genitori e tate- e i piccoli- Alessio e Bibì.

Nella nostra storia dei biscotti, Alessio si sente male: all’improvviso ha un terribile mal di pancia.

-Perché, mamma?

- Forse ha mangiato troppo, oppure sarà un virus…

- Un virussss?

Il gioco continua, il piccolo paziente va a casa e la mamma lo cura, amorevole. La sua amica Bibì lo va a trovare e vede che sta bene, tutto sembra passato e domani tornerà all’asilo.

Bibì grida di gioia, non si capisce più se è lei o il personaggio-biscotto a parlare:

-Mamma, io non è più titte, io tono contenta!!

Solo in quel momento ho capito quanto fosse grande il suo bisogno di condividere e rielaborare questo timore per il suo amico che, come ci aveva già detto più volte dal giorno precedente, si era sentito male al nido e se ne era andato a casa con la mamma.

Quando ha allontanato da sé la tristezza -con quell’accordo verbale sbagliato forse non a caso- ho capito che qualcosa di profondo la tormentava, qualcosa che da sola non era riuscita ad elaborare, qualcosa che aveva bisogno di parole, di espressione, ma anche di condivisione, di risposte.

Qualcosa che doveva venire fuori, trasformarsi per essere controllabile e gestibile.

Qualcosa di troppo grande per un cuore piccolo in cui un amico malato aveva preso tutto il posto, facendo mancare anche il sonno e il respiro.

“Forse si può dire che ogni bambino impegnato nel gioco si comporta come un poeta: costruisce un suo proprio mondo, o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del suo mondo” (S. Freud, Il poeta e la fantasia).

 

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