Il riferimento agli schemi cognitivi-emozionali (strutture di significato), rappresenta il fulcro dell’agire terapeutico. Tali schemi, che ciascuno sviluppa durante tutta la sua vita, si ancorano primariamente durante i primi anni, al contatto col mondo esterno e con le esperienze interne. Essi sono una specie di “filtro” attraverso il quale osserviamo il mondo e noi stessi, in un modo che è specifico per ciascuno. Definiscono, inoltre, da un lato, le aspettative su ogni contesto e i calcoli possibili da compiere, dall’altro le limitazioni conoscitive tipiche all’individuo al quale lo schema appartiene.
Pare accertato, che il modello personale con il quale si costruisce la realtà, sia di indiscutibile centralità, per cui è bene fare attenzione alla struttura cognitiva tipica dell’individuo conoscente, quando si parla di valore stress.
Le sfaccettature del pensare, dunque, condizionano la propria esistenza, e se queste sono prettamente irrazionali comportano distorsioni nella costruzione della realtà. La condotta della vita si svolge in coseguenza al tipo di dinamica che caratterizza il processo interpretativo. Un processo tipicamente diverso tra individuo ed individuo di elaborare le informazioni.
E’ la visuale conoscitiva, propria alla nostra mente, di fatti, che decide ciò che viviamo. Se questa, in relativo a noi e al nostro benessere, si mostra disadattiva, poco efficace a guidarci nel mondo, ecco che le deviazioni del pensiero mostrano le più svariate bizzarrie interpretative: dalla nevrosi alla psicosi.
La corretta funzionalità del pensiero costituisce la valenza centrale per il buon adattamento e per l’ottenimento di ciò che ambiamo.
Cosa interessante, è che l’attenzione alla modalità del conoscere la ritroviamo addirittura in alcuni importanti aspetti del buddhismo.
Tocco e fuggo subito, l’esigenza della “liberazione” intrinseca nella religione buddhista, viene per la prima volta sottolineata in termini di pensiero logico e razionale e non da una rivelazione mistica. La “liberazione” in questa dottrina viene chiamata “via mediana” perchè equidistante sia dall’ascetismo fanatico sia dall’edonismo assoluto.
Per meglio esplicare ciò, cito alcuni versi del testo canonico buddista:
“E’ bene che si domini il pensiero, inafferrabile, leggero, che si getta su ciò che gli piace; il pensiero domato è portatore di felicità”.
“Custodisca l’uomo accorto il pensiero, difficile da percepire, guizzante, che si getta su ciò che gli piace; il pensiero ben guardato porta felicità”.
“Per colui il cui pensiero è instabile, che non conosce la “Buona Legge”, la cui calma mentale è turbata, per costui la conoscenza non è completa”.
“Di ciò che potrebbe fare un odiatore ad un odiatore, un nemico ad un nemico, molto più male fa (all’uomo stesso) il (suo) pensiero falsamente diretto”.
(Il Buddha attraverso il Dhamma-Pada (I versetti della legge; testo canonico buddhista), testualmente da “Citta-Vagga” (Il pensiero): 36esima, 37esima, 38esima e 42esima strofa)
La sorpresa non finisce qui, anche in testi induisti, nel famoso capitolo “il Bhagavad Guita” della vasta opera Hindù Mahabarata, troviamo riferimenti alla correzione del pensiero falsamente diretto.
E’ il sistema di conoscenza che è oggetto di conoscenza, l’incremento della meta-cognizione, della capacità riflessiva è, difatti, l’elemento centrale dell’agire terapeutico.
In conclusione, cìò che percepiamo è relativo al nostro sistema di conoscenza cognitivo-emotivo quale risultante delle esprienze vissute, ed è questo, quindi, che decide il valore e il significato che si da alla vita e alle componenti che la caratterizzano.
In pratica, se un’esperienza “dannosa” la interpretiamo come catastrofica, ecco che il cuore, il sistema immunitario e il sistema digerente ecc. sono messi a grave rischio. Se la cosa è osservata sì come negativa, ma non tanto spaventosa da non poterla assorbire, la risposta dell’organismo è meno invasiva. Pertanto, l’attività biochimica cerebrale aumenta solo quel poco da permettere una risposta efficace, senza ridurci all’impotenza.
Per conoscere se certi eventi della vita correlano con manifestazioni patologiche conclamate o con un quadro di disagio psichico, dunque, principalmente bisogna vedere in che modo gli individui valutano e affrontano le loro esperienze.