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In che modo le trasformazioni economiche hanno mutato la passione. Non parlo di amori via chat o peggio del web porno o ancora dei flirt sul posto di lavoro. Nel mirino c’è, invece, un dato che credo stia al fondo della questione: «L’amore – nella produzione di reti affettive, schemi di cooperazione e soggettività sociali – è una potenza economica». Il virgolettato che assegna al massimo bene il ruolo di molla produttiva è di Toni Negri e Michael Hardt (tratto da Le passioni della crisi, pubblicazione Lum). Le quote affettive prima espunte dal processo lavorativo muto e solitario ora sono un ingrediente necessario: nell’epoca degli impieghi comunicativi e relazionali, l’eros penetra l’industria. L’amore messo al lavoro provoca contraddizioni che scardinano gli abituali assetti della vita quotidiana. L’amore produttivo rompe la tradizionale separazione fra praxis e poiesis e si emancipa dal ruolo di soggetto passivo, inteso nella sua qualità di esito strumentale del posto fisso: moglie-famiglia-figli. L’amore che diventa «potenza economica» porta con sé la possibilità di affrancarsi dai gangli del lavoro salariato e dal vestito del marito perfetto. La crisi riscrive il romanticismo, lo emancipa dalle superstizioni del sentimento borghese e omofobico e apre alla moltitudine che popola il paesaggio metropolitano. L’amore si attivizza,







