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Crisi in Ucraina: quale ruolo per l’Italia?

Creato il 19 marzo 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Giuseppe Consiglio

La crisi in Ucraina impone ancora una volta una riflessione sul ruolo che l’Italia può giocare nella politica europea ed internazionale. Un contesto certamente problematico dove le recrudescenze di una contrapposizione, evidentemente solo sopita, tra blocco occidentale ed orientale tornano, forse anacronisticamente ma con nuovo prorompente vigore, a dominare le cronache risvegliando antiche rivalità. L’importanza strategica che l’Ucraina e la Crimea in particolare rivestono per la Russia ha spinto Putin a dispiegare le proprie forze militari sulla penisola occupando prima con l’appoggio delle neocostituite forze di autodifesa filorusse, poi con le proprie forze armate, i punti nevralgici della regione. La presenza russa è diventata più massiccia dopo la dichiarazione d’indipendenza sancita con 78 voti a favore su 81 dal Parlamento della Crimea, passo obbligato ma ufficiale che ha anticipato il referendum del 16 marzo che ha di fatto sancito la secessione della penisola e la riunificazione con Mosca.

La valenza strategica della CrimeaSede del quartier generale della flotta russa nel Mar Nero, Sebastopoli ed il suo porto sono vitali per la Russia. È dal 2011 che Mosca coordina dal porto di Sebastopoli l’impegno militare e le manovre nei porti di Latakia e Tartus in Siria. L’accordo stipulato con l’Ucraina concede ai russi l’utilizzo del porto fino al 2017, scadenza prorogata al 2042 da un nuovo accordo stretto tra il deposto Presidente ucraino Yanukovich e Vladimir Putin nel 2010. La forza navale russa nel Mar Nero conta diversi incrociatori, sottomari, cacciatorpediniere, fregate e corvette. Tra le motivazioni che hanno spinto Mosca ad intervenire va indicato il timore che i patti stipulati prima della cacciata di Yanukovich possano venir meno, privando di fatto la flotta russa di uno sbocco sul Mediterraneo (attraverso il Bosforo e i Dardanelli) e nell’Oceano Indiano. Passaggio che diventa fondamentale soprattutto d’inverno quando le acque del Baltico e del mar Bianco congelano.

L’UE, le sanzioni e il fattore energeticoSe da un lato Mosca non può permettersi di perdere la Crimea, dall’altro Washington ha la necessità di riaffermare il proprio ruolo di guida e leadership globale nei principali scenari di crisi internazionali. In mezzo, Bruxelles.

Incapace di agire come un’unica entità, fin dall’inizio della crisi ucraina l’Unione Europea è stata lacerata dai distinguo tra i suoi Stati membri ancora una volta guidati dai rispettivi interessi nazionali, pur giungendo infine a concordare alcune sanzioni economiche nei confronti di coloro i quali sono stati individuati come responsabili della violazione della sovranità territoriale dell’Ucraina. Si tratta in realtà di una linea più morbida rispetto a quella tracciata dagli Stati Uniti, lasciando infatti aperte le porte a future possibilità di dialogo come confermato dal Ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini e dall’omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier. D’altra parte gli interessi e l’interdipendenza economica tra Russia ed Europa non lasciano poi così tanto margine di manovra agli europei. Il Nord Europa dipende quasi totalmente dalle forniture di Gazprom, un legame che difficilmente verrà alterato nel breve periodo se non altro per ragioni di prossimità geografica. Non a caso, Angela Merkel sembrerebbe aver confermato gli incontri con il Cremlino in agenda per i prossimi mesi. Gli Stati del Sud – in linea teorica meno esposti alle turbolenze caucasiche in ragione della contiguità al Mar Mediterraneo e con la conseguente possibilità di accedere a forniture di gas e petrolio estratti da altri paesi produttori – non possono in alcun modo rinunciare agli investimenti russi.

Queste considerazioni sono doppiamente valide per l’Italia, che accanto alla questione degli investimenti necessari ad iniettare liquidità in un’economia stagnante e reduce da una prolungata fase di recessione (attualmente si registra una crescita limitata allo 0,1% del PIL), dipende per oltre l’80% del proprio fabbisogno energetico dalle importazioni. Un terzo del gas importato in Italia viene appunto dalla Russia (senza considerare i flussi di oro blu che giungono alle centinaia di imprese italiane dislocate nei Paesi dell’Europa centro-orientale, per un fatturato stimato in 285 miliardi di euro, ad iniziare dalla Polonia).

Per altri Paesi del Sud-Est europeo queste percentuali arrivano a sfiorare il 100%, come nel caso della Croazia che dipende quasi totalmente da Mosca per le proprie forniture di gas. Restano ancora da ultimare il South Stream, che permetterà di bypassare l’Ucraina tagliando per il Mar Nero, la Bulgaria e la Grecia (e il cui contratto per la realizzazione del primo tratto è stato siglato da Eni-Saipem con Gazprom lo scorso 14 marzo), e da definire le modalità di realizzazione del Trans Adriatic Pipeline (TAP) che, attraversando lo Ionio, consentirà l’approvvigionamento di oro blu dall’Azerbaijan, approdando in Italia dalla Puglia.

E se l’Italia, allineandosi alle posizioni della Germania, si è detta contraria al blocco dei lavori per il G8 di Sochi, il Regno Unito ha frenato sull’imposizione di sanzioni finanziarie particolarmente dure per Mosca temendone gli effetti sui capitali russi investiti nella City. Oltre a Berlino, particolarmente attiva in queste settimane di crisi è stata anche Varsavia, forte dell’appoggio francese. Parigi, offrendo la propria sponda alla Polonia, ma principalmente alla Germania, assicura certamente un peso maggiore all’azione dell’Unione Europea.

In uno scenario dai profili incerti ed in continuo divenire, l’Italia è stata inizialmente estromessa dai negoziati, forse perché considerata poco adatta ad offrire o a formulare un qualche tipo di soluzione per la questione o semplicemente per via della “staffetta” avvenuta a Palazzo Chigi che ha portato Matteo Renzi a sostituire Enrico Letta in un momento in cui la crisi ucraina era già ad uno stadio avanzato.

Quello che però emerge chiaramente è che Roma, nonostante gli interessi diretti su Kiev e nonostante l’importanza geografica dell’Ucraina dalla quale si snodano i gasdotti che riforniscono di gas russo mezza Europa, è ancora una volta relegata ad un ruolo, se non del tutto marginale, sicuramente non di primo piano o tale da rispecchiare la portata reale degli interessi nella regione.

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Esportazioni in Ucraina per settori (2013); Interscambio commerciale – Fonte: SACE

Gli interessi Italiani in Ucraina – L’interscambio con l’Ucraina è di circa 3 miliardi e mezzo di euro, una cifra ragguardevole e superiore ai dati che riguardano gli scambi con Croazia e Serbia (circa 2 miliardi e mezzo di euro) ma decisamente inferiore rispetto ai 26 miliardi con la Russia, i 13 con la Polonia e la Turchia, i 9 con la Romania e 7 con la Repubblica Ceca. L’Italia è il terzo mercato europeo per i prodotti ucraini dopo Polonia e Germania, il settimo mondiale. Al primo posto la Russia. L’acciaio è la voce principale dell’export ucraino nel nostro Paese. L’Italia esporta principalmente macchinari per un valore di circa 350 milioni di euro a testimonianza del fatto che la bilancia commerciale è comunque favorevole a Kiev. La pattuglia delle imprese italiane in Ucraina conta, secondo i dati ICE, circa 500 unità, ma se si tengono in considerazione le partecipazioni di imprese italiane in quelle ucraine con fatturato superiore ai 2 milioni di euro il dato diventa decisamente più importante: un fatturato di oltre 650 milioni di euro, quasi diecimila persone coinvolte nei rapporti di lavoro, 136 imprese che si aggiungono alle 500 sopracitate. L’Italia investe molto in Ucraina: è al decimo posto, con una quota di circa il 2%, tra i maggiori investitori esteri nel Paese. Al primo posto, con il 32,9% Cipro, dato, questo, che lascia parecchi dubbi sulla trasparenza dell’economia ucraina.

Il settore bancario – Gli effetti delle tensioni in Ucraina sono stati pesantemente avvertiti anche dai mercati finanziari dove il crollo del rublo è stato accompagnato, almeno nei primi giorni della crisi, da un netto ribasso di tutte le Borse. A soffrire particolarmente è stato il settore bancario, forse il principale strumento di penetrazione italiana nell’economia ucraina. Gli Istituti italiani, dopo quelli austriaci, sono infatti i più esposti nell’ex Repubblica sovietica con oltre 5 miliardi di dollari. Le banche austriache superano i 7 miliardi, marginale invece l’esposizione di britannici, tedeschi e statunitensi. San Paolo ed Unicredit in particolare, hanno guidato la loro espansione verso Est puntando anche sull’Ucraina con risultati non del tutto soddisfacenti. E se Unicredit sembrerebbe infatti in procinto di cedere Ukrsotsbank, la quinta banca del Paese, San Paolo ègià uscita dal mercato cedendo la controllata Pravex, rilevata dall’oligarca Dmytro Firtash, uno dei maggiori sostenitori dell’ex presidente Yanukovich. Non è un caso che dopo l’invio dei primi convogli russi in Crimea Unicredit abbia perso oltre il 5%, recuperato a fatica nei giorni successivi.

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Esposizione delle banche in Ucraina – Fonte: BIS

Il semestre italiano di presidenza europeaIl semestre italiano di presidenza europea che partirà il 1° luglio vedrà dunque Matteo Renzi impegnato ad affrontare una serie di questioni estremamente delicate. A fine maggio l’Ucraina dovrebbe aver eletto un nuovo Presidente e dovrebbe aver firmato l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con Bruxelles (previsto per il prossimo 21 marzo); l’intrigata vertenza sulla Crimea avrà degli strascichi che dovranno essere gestiti proprio nel periodo di presidenza italiano, periodo nel quale sarà inoltre attivato il prestito utile a ripianare una parte del deficit corrente ucraino pari a 25 miliardi di dollari in una partita al rilancio con Mosca pronta ad acquistare titoli di Stato ucraini per un valore di 15 miliardi di dollari e robusti sconti sul prezzo del gas. In realtà il prestito UE dovrebbe aggirarsi sugli 11 miliardi, una prima tranche di 600 milioni di euro pare possa a breve esser concessa. Stretta tra la necessità di mantenere dei buoni rapporti con Mosca per le ragioni sopra argomentate – vedi gas ed investimenti –, quella di tutelare gli interessi degli operatori italiani in Ucraina e al tempo stesso di contenere senza irrigidire i rapporti con Washington, l’Italia potrebbe avere la capacità di fluidificare le trattative tra le parti.

E se è vero che un buon compromesso lascia tutti abbastanza insoddisfatti, questa volta la necessità di raggiungere un accordo soddisfacente per ciascuna delle parti coinvolte è di estrema importanza per l’Italia, costretta, a breve, a ricoprire un ruolo che forse in questo particolare momento storico poco le si attaglia.

* Giuseppe Consiglio è Dottore in Internazionalizzazione delle Relazioni Commerciali (Università di Catania)

Photo credits: Ministero degli Affari Esteri

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