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Critica alla maternità e maternità critica

Da Sposenonconvenzionali

Sapete quando ci sono quei pensieri che ti girano per la testa da giorni. Avvenimenti che si incatenano l’uno all’altro che ti fanno ragionare sui massimi sistemi e sulla tua identità. Addirittura, sì! Chi sono? about, racconta di te in tre righe, il tuo profilo in 140 caratteri.

Prima di tutto sono una donna, sono io, Valeria. Una donna con tante contraddizioni e sfaccettature, ma sempre io.

Tante me - foto che trovate anche sul mio profilo Instagram

Tante me – foto che trovate anche sul mio profilo Instagram

Mi capita spesso di leggere, di vedere alla tv, di ascoltare dalle mie amiche che alcune donne si definiscono innanzitutto come “mamma”, cioè attraverso una relazione. Queste donne sono la relazione. Si identificano unicamente con la relazione che hanno con i figli. Per non parlare con quelle che dicono Ciao sono XY e sono moglie e mamma di due bambini. Stop. Questo tipo di affermazione mi spaventa assai, la centralità che la maternità assume per alcune, il dimenticare tutto il resto, anche se stesse. Sulla pagina facebook di qualche giorno fa una mia amica scrisse che prima di suo figlio non c’era stato nulla di sensato. Ma come? Non ce l’ho fatta a non intervenire e a ricordarle i bei momenti della sua vita precedenti.

Io ho avuto momenti emozionanti nella mia vita, il primo bacio (sì, sto andando parecchio a ritroso), la patente, il primo volo intercontinentale, la laurea, il mio primo stipendio. Direte che sono tutte bazzecole in confronto ad una nascita. Certamente. Il punto non è che è stato emozionante il volo RomaChicago in se stesso, è stato bello quello che mi hanno portato, la soddisfazione che mi hanno dato perché ho fatto qualcosa per me, che mi ha fatto crescere e mi ha reso più forte ed indipendente, esperienze che hanno fatto sì che sia la donna che sono oggi, anche mamma.

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Wow! I get to give birth and change diapers, magnet via Ann Taintor

Un’altra cosa che non sopporto è la domanda: “Quando fai il secondo?”. Le risposte che alterno sono: “Pensa tu a fare il primo”, “Mai”, “Quando imparerà ad allacciarsi le scarpe”(per rimandare il confronto), “Viva i figli unici”. Eppure dentro di me c’è solo una risposta che taccio ma sicuramente traspare dal tono delle frasi a cui mi sono adeguata: “Fatti gli affari tuoi”. Il punto non è che non te lo voglio dire, il punto è che la tua domanda prevede solo una risposta ovvero che io debba fare un secondo figlio. Quando rispondo “mai”, apriti cielo! cominciano a perseguitarmi sulla necessità e il dovere che ho nei confronti di mia figlia che non può rimanere da sola. Se avessimo già riflettuto che per mia figlia rimanere da sola è la soluzione ottimale per noi? Se avessi ragionato sul fatto che non posso permettermi di perdere il lavoro nuovamente a causa di un’altra maternità poiché in questo momento ho responsabilità ed impegni economici maggiori a quelli di qualche anno fa? No, non vale, hanno tutti un’esperienza da raccontarti sul come sia bello avere fratelli e sorelle e come sia brutto restare da soli, su tre figli campati in ristrettezze economiche e una mamma tutto fare che lavorava e stava con loro. Ok, ma non mi va. Può non andarmi?

Questa pressione che le persone mettono sul fare i figli, primo o secondo che sia, la trovo snervante e logorante. La punta di un iceberg di una cultura che prevede che le donne siano principalmente genitrici. Dove la presunta  ”naturalità” fa una spietata selezione su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e prende il posto del buon senso,  anche di quello civico e dei sentimenti.

Conosco alcune coppie di amici che hanno dei problemi ad avere figli, altre che non li desiderano. Se non subissero la pressione esterna di familiari ed amici sarebbero sicuramente più tranquilli. Ad ogni rimpatriata tra amiche sempre la stessa domanda: “Allora?” e quell’occhiata loquace. E giù il senso di inadeguatezza e di frustrazione di alcune che si trasforma in sofferenza silenziosa e nevrotica. Comuni sono anche gli sbadigli delle altre, quelle che non sono ancora pronte o che non hanno desiderio di avere figli, soprattutto quando le discussioni vengono monopolizzate da cacche, pipì, marche di prodotti e problemi di sonno dei pargoli.

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Walk faster… The children are catching up foto via Ann Taintor

Questa centralità della maternità è spaventosa – nel senso letterale cioè che spaventa le altre donne – e schiacciante perché la “sacralità della maternità” non si osa discutere, chi lo fa è una persona cattiva. Quindi l’amica smetterà di prendere parte alle cene silenziosamente.

Se da un lato, mi trovo a criticare alcuni modi di vivere la maternità, dall’altra, sono convinta che possa esserci una maternità critica (che non passa per allattamento sì/allattamento no, pannolino riciclabile sì/no). Un modo di essere madri che non preveda solo un esclusivo lavoro di cura e un amore incondizionato, ma la cura di una relazione. Unica ma non la sola.

I Love My Mom and Her Tattoos via Cartel Ink

I Love My Mom and Her Tattoos via Cartel Ink

Faccio una piccola conclusione narrandovi un aneddoto che mi porta a raccontarvi il mondo che vorrei.

Berlino. Un mio amico attraversa la strada a piedi con il rosso pur se non stava passando nessuna automobile. Di fronte c’è una donna con figlio che lo riprende. Non solo è passato con il rosso, ma lo ha fatto di fronte ad bambino.

Ora il punto non è su quanto siano rigidi i tedeschi, ma sul fatto che, in quanto comunità, siamo chiamati tutti e tutte ad educare i bambini e le bambine, a dare loro un esempio, a riprenderli nei casi in cui non rispettino gli altri.

Ecco, credo che bisogna uscire tutti e tutte dal concetto di genitorialità ed esclusività per passare a quello di educatori, affinché tutti e tutte si sentano responsabili e madri e padri si sentano meno soli ad affrontare questo compito.

Questo è quello che penso, detto in maniera disordinata e breve. Ci sono dei fatti che devo tirar fuori che però mi sono fermata dal raccontare perché vorrei procedere per gradi, sono aperta al confronto e al dialogo, quindi se avete voglia di commentare, portando le vostre esperienze, frustrazioni, gioie e dolori, siete libere e liberi di farlo. Sono – ovviamente – benvenuti anche i papà.



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