Qualunque volo dall’Italia che si rispetti non può non cominciare con una manciata di addette antipatiche al controllo dei bagagli a mano: oggi è la volta di una maleducatissima hostess di terra della Qatar Airways, incaricata di pesare i bagagli a mano e controllare che entrino dell’apposito carrello, sotto lo sguardo terrorizzato dei passeggeri, tutti rei di aver riempito il suddetto bagaglio all’inverosimile, come da prassi. Tutti meno io: per la prima volta viaggio leggera come una piuma, forse perchè sono dovuta tornare in Italia in fretta e furia, e solo per una decina di giorni: giusto il tempo di mangiare qualunque tipo di cibaria natalizia, accarezzare la mia gatta, godermi i miei genitori (non senza litigate miste) e ripartire. Il peso in eccesso me lo ritrovo dunque solo addosso, e meno male che quello non viene controllato.
La Maleducatissima urla a noi pellegrini di venire avanti e darci una mossa, ordinando con gli occhi di pesare sto maledetto bagaglio e passare oltre, con un fumetto sulla testa che ci ricorda che lei oggi ne ha le scatole piene di controllare 300 passeggeri in volo per il Qatar e poi per altri lidi. Il suo essere villana lo vedo dalla scortesia con cui tratta un gruppo di poveri cinesi in coda per il check-in: nonostante si accorga che non capiscono l’italiano, la nostra continua a rivolgersi loro in questa lingua, non cerca di tradurre in inglese e neanche prova ad accompagnare le parole con i gesti. Non le costerebbe molto indicare il loro bagaglio a mano con un dito, e fare il gesto di riporlo sul peso: ne guadagnerebbe in salute, sua e di quelli che viaggiano. Ma forse non ha idea di come si sta comportando.
Fatto sta che i loro bagagli a mano sono tutti fuori peso consentito, così li vedi lì a svuotarli di parte del loro contenuto: confezioni di pasta (Divella – per i curiosi), zuppe, cioccolatini e buste colorate dall’aria sinistra, per poi avviarsi verso il bancone del check-in con il bagaglio alleggerito e il panettone in mano, ma una borsetta sulla spalla che sembra uscita da un quadro di Botero.
Ci imbarchiamo in anticipo e poi partiamo in ritardo, e fin dal decollo so già che avrò vita dura: il mio vicino occupa tutto il suo sedile e parte del mio, con i gomiti ben allargati, il ventre tronfio e un giubbotto di pelle nera che profuma di pelle di mucca appena conciata per le feste.
La hostess ci dà il benvenuto con salatini e bevande, e mentre io (che sono astemia anche di succhi) mi concedo bicchieroni di acqua a gogò, il mio vicino comincia le danze con un bel whisky. Poi ne chiede un altro. Poi l’amico, seduto qualche posto più indietro, gli porta un altro non ben identificato bicchierino di alcolico, e così via anche con gli altri pasti, finchè non si addormenterà beato. E comincerà a russare. Ma perchè, dico io, perchè mi stupisco ancora? Perchè mi innervosisco? Ormai è risaputo: io attraggo i russatori come il miele le mosche. Che siano fidanzati o compagni di volo, mai una volta che possa avere accanto un uomo silente. Il fatto è che sull’aereo posso mettermi a sferzare calci, bestemmiare come uno scaricatore di porto o minacciare il divorzio immediato. No, qui posso fare una cosa sola: sopportare. E fare training autogeno (invano), sperando che nel mentre ci sia una turbolenza così forte che scuota il nostro dal suo torpore.
Poichè sui voli arabi c’è sempre una buona selezione di musica, provo a mettermi le cuffie (ma perchè, a me, le cuffie degli aerei stanno sempre larghe? Su quale testone le testeranno, sulla creatura di Frankenstein?), e ad ascoltare Mozart Lullabies (la potete ascoltare dal video qui in alto). Mentre comincio a scrivere sul mio laptop questo post, il miracolo avviene: il pilota annuncia una turbolenza, e il nostro si sveglia dal torpore, mi guarda con occhi da babbeo e decide che è ora di mettersi le cuffie e seguire un bel film d’azione. A tutto volume. In modo che tutti i suoi “Bang! Bum! Crash!” vengano anche sentiti dalla sottoscritta, per dare più ritmo alle sonate di Mozart.
Intanto, il signore seduto al posto di fronte a me continua a muoversi come un forsennato dal momento in cui siamo decollati da Malpensa, facendo dondolare il sedile (ovviamente reclinato al massimo), e quasi mi spacca il pc. Prima dondola, poi si muove a destra, poi a sinistra, poi appoggia la testa sull’oblò, poi riaggiusta la postura, e infine si rimette comodo: non resisto e, presa da un raptus da bambina cattiva in vena di dispetti, spingo in avanti il suo sedile con le mani: capirà che potrebbe muoversi meno, no? No: il giovanotto si riaggiusta sereno sul sedile. E poi si calma, fino al prossimo swing.
Il velivolo è colmo di cinesi: sulla rivista di bordo leggo che Qatar Airways serve ben sette tratte con la Cina: ecco spiegata la presenza di così tanti abitanti del Regno di Mezzo su questo aereo. Su un volo per il Medio Oriente che si rispetti non può mancare, però, la coppia di amici che a Doha cambierà velivolo per imbarcarsi per Bangkok, destinazione vacanza del sesso. Li riconosci dallo sguardo malsano e lo spirito allegro, ma anche dalla battuta facile, che in questo caso mi viene fatta ogni volta che mi alzo per andare alla toilette. E’ in questi momenti che fingo di essere straniera e di non capire: la maschera che indosso ogniqualvolta mi capita di incontrare certi simpatici personaggi. E’ divertente, ogni tanto, far finta di provenire da un altro mondo, assumere lo sguardo beota di chi non comprende un accidente e invece capisce tutto.
Che l’aereo abbia caricato un certo numero di italiani a bordo si capisce nel momento dell’atterraggio, quando parte un applauso per il pilota: e quando un bambino indiano coi capelli raccolti nel turbante sikh – parlante un italiano perfetto – avverte i suddetti che l’aereo non aveva ancora toccato terra, tutti scoppiano a ridere e ripetono l’applauso: questa volta il carrello ha toccato la pista. Evviva!
L’episodio più interessante del viaggio avviene però qui, all’aeroporto di Muscat, quando l’uomo in turbante incaricato di appormi il visto di ingresso nel Sultanato mi dà in benvenuto: prima mi fa i complimenti per il mio nome, poi mi chiede se trascorrerò le vacanze natalizie in Oman, in seguito indaga se per caso io lavori in Qatar, poi quando vede che ho fatto un visto di un mese mi dice (scherzando) che allora magari potremmo vederci; quando nota che è ormai un anno che entro ed esco dall’Oman, mi chiede curioso “Il tuo ragazzo ti sta aspettando fuori?” e io “Sì” (sempre meglio fingere di essere fidanzate, qui), al che mi rivolge un sorriso smagliante, e con lo stesso mi accoglie nella sua terra: “Allora digli che è il ragazzo più fortunato del mondo. Welcome home”.
Sì: sto cominciando davvero a sentirmi a casa.
Qual è il luogo dove più al mondo vi sentite o vi siete sentiti a casa?
Ma soprattutto: avete mai applaudito al termine di un volo aereo?