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Cronaca di una convivenza. L’incidente

Da Ornellaspagnulo82 @OrnellaSpagnulo

Mi sembrava strano che stesse andando tutto così bene. Sabato 13 settembre, data che da giorni mi lampeggiava in testa come se ci fosse qualche ricorrenza ultraimportante da ricordare, all’ora di pranzo il mio compagno ha fatto un incidente mentre ritornava a casa in motorino. Cosa insolita di sabato, gli avevano chiesto di andare in ufficio la mattina. Ero al computer quando dal suo cellulare mi ha telefonato una signora, che poi mi ha passato un poliziotto. Sono arrivata ed era steso a terra, intorno varie persone gli consigliavano di non muoversi. Urlava. Anche il poliziotto ha detto a me di non muovermi, quando sono arrivata. Secondo lui, se mi avesse visto si sarebbe agitato e avrebbe mosso involontariamente la spalla. L’ambulanza l’ha portato in barella al Vannini, Tor Sapienza (lì sono specializzati in ortopedia). Io correvo con la macchina dietro la sua scia rumorosa, fregandomene dei rossi e andando giù di clacson se qualche auto si metteva in mezzo.

Ho aspettato fuori: gli hanno fatto due lastre e le analisi del sangue. Ora è mezzo fasciato, con la spalla immobilizzata per una lussazione e il braccio piegato e la mano sinistra ha uno squarcio che hanno disinfettato, ma intorno alla ferita la mano è ancora sporca. Non vuole che io provi a pulirla, gli fa ancora male. In compenso, gli ho potuto lavare i capelli e mi sono ricordata dell’anno scorso, di quando mia madre mi chiese di farle uno shampoo in clinica, giorni dopo l’operazione. Non capisco quindi se fare lo shampoo alle persone più care sia un bel momento oppure no: il fatto è che se puoi lavare i capelli a qualcuno vuol dire che tutto sommato è vivo, e di questo bisogna ringraziare.

Il medico ha prescritto 30 giorni di riposo a Daniele. Gli capita di avere fitte alla spalla, ma passano con l’Efferalgan da 1000 due volte al giorno. Finalmente riesce a dormire a letto senza problemi: all’inizio vagava come un’anima in pena tra il divano e la camera, a volte si lamentava.

Mi sento ridicola a scrivere di questo, ma se non lo scrivo non cambia. E dire che sabato sera per la prima volta sarei dovuta salire in motorino dietro di lui, fino a Trastevere, per il compleanno di un’amica. Ero andata a prendere il casco a casa dei miei, tutto sporco, non avevo fatto a tempo neanche a pulirlo. Il suo casco si è mezzo spaccato dopo il botto. Il motorino invece non si è fatto nulla.

Ed è stupido chiedersi: “Ma perché?”, siamo tutti sulla giostra e l’importante è che ci siamo ancora, chi è mezzo fasciato e non può fare quasi niente per un mese, chi trattiene il pianto perché qualcuno ha detto: “Fatti una risata, non è niente, sai quante volte è successo a me”, chi sta in pensiero perché un figlio è finito all’ospedale e allora prende subito la macchina dal paese per tornare nella capitale, c’è chi ora esorta: “Vedrai, dopo i brutti periodi accadono sempre grandi cose, arriveranno buone notizie”, e lo sapevo che se era successo qualcosa di bello mi dovevo preparare a qualcos’altro, non tanto bello. “Non tanto bene”, scriverebbe Aldo Nove. Proprio non tanto bene.

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