Venerdì ho aspettato tutto il giorno la telefonata di amici che non hanno chiamato. Ho fatto due passeggiate per prendere aria intorno al quartiere, cercando di non passare per due volte davanti allo stesso bar o negozio. Con i condomini non mi trovo bene, ma con i negozianti sì e non voglio sembrare una sfaccendata che trascorre il giorno a vuoto.
Così ho salutato solo una volta la libraia, solo una volta il barista, solo una volta ho fatto mezzo giro nel parco, solo una volta sono passata da una profumeria. Non vorrei sembrare una che vive dell’affitto di mezza casa a uno sconosciuto. Stiamo chiusi ognuno nella sua metà ma la gente straparla e qualcuno mi ha detto che non posso portare uomini a casa: sono “pericolosi”.
La “mia” città, Taranto
Chissà cosa penseranno adesso che arriverà Daniele. Vicino alla doccia – mentre pulisco il piatto doccia dal bagnoschiuma con il getto dell’acqua – ricordo la mia città, Taranto. Mio zio Gianni ha telefonato poco prima di cena e mi ha chiesto di andare a Taranto quest’estate, per conoscere la sua compagna. Manco da Taranto da tempo immemore: da quando è morta nonna non ci vado più volentieri, e silenziosamente penso anche che mi porti sfiga.
Solo un mese fa ho ricevuto una notizia che ha cambiato la consapevolezza della mia storia personale. Dalla nascita nella città del porto fino ai 3 anni, allo sradicamento senza ritorno – quando Roma è diventata la mia città – sono cresciuta con i nonni, non con i miei genitori. Mamma lavorava di giorno, papà lavorava a Roma. Non lo sapevo, ricordo poche cose della mia primissima infanzia: un trauma privo di grazia che non racconto volentieri e un vago ricordo di disgusto di fronte al cibo.
Firenze
Odiavo andarmene dalle città, a Taranto stavo bene all’inizio, questo lo ricordo. A Roma sono stata divinamente fino a 9 anni, poi il trasferimento a Firenze. L’allontanamento meno spiacevole fu proprio da Firenze, ci avevo trascorso gli anni peggiori della mia vita. Di nuovo a Roma, e un anno a Madrid – stavolta l’avevo scelto. Cerco di non pensare più a Madrid, perché quando mi capita sento qualcosa alla pancia, dire nostalgia è troppo poco, è come sentire un pezzo di pancia che manca. Ho imparato a non sentire nessuna mancanza e, anche da magra, tengo sempre un po’ di pancia in avanzo per riempire determinati vuoti.
Qui ero vicino alla statua di Valle-Inclàn, Madrid
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Dal vecchio blog Noi e la studentessa Erasmus
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