… in campagna elettorale !!!
-Di Hamza Roberto Piccardo
Dopo un assedio che ci è stato presentato come interminabile (32 ore invero), senza un processo, un giudizio e soprattutto senza poter pubblicamente verificare la consistenza degli indizi a suo carico, le eventuali complicità e connivenze di cui poteva aver goduto, Mohammed Merah è stato rapidamente giustiziato.
Lo hanno ammazzato dicono “per legittima difesa”, nonostante gli auspici di Sarkozy, anzi un vero e proprio ordine di prenderlo vivo.
Tutta la vicenda si è consumata all’interno di un cerchio impenetrabile realizzato da centinaia di poliziotti, gendarmi, vigili del fuoco e unità di intervento rapido: i RAID (quelli che la stampa si compiace chiamare “teste di cuoio” anche se in realtà hanno piuttosto passamontagna altrettanto inquietanti). Un dispositivo di sicurezza che ha tenuto lontano giornalisti e telecamere e la mediatizzazione dei fatti si è limitata alle comunicazioni dei funzionari a immagini sempre uguali di quei sobborghi, di CRS vigili e annoiati e infine una sequenza di colpi d’arma da fuoco: l’epilogo tanto esecrato, quanto scontato e annunciato.
Mohamed Merah è morto, pare colpito alla testa mentre, lanciatosi armi in pugno dalla finestra, continuava a sparare all’impazzata.
Questi i fatti. Ora aspettiamoci una sequela di racconti, interminabili analisi e interpretazioni di esperti che spiegheranno al mondo intero il perché, molto meno il come, ché quello sarà ufficiale e morta lì.
La cosa paradossale di questa vicenda è che, a quel si sa, una semplice indagine sugli strumenti informatici a disposizione della prima vittima, Imad Ibn Ziaten, sergente dei paracadusti, avrebbe incastrato immediatamente il presunto assassino, e invece sono dovuti morire altri due parà, Abel Chennouf e Mohamed Farah, un rabbino e due dei suoi tre bambini e un’altra piccola allieva della scuola dove lui insegnava.
Oggi sappiamo che era “attenzionato” dai servizi francesi e USA per i suoi viaggi in Afghanistan, in Pakistan e in Iraq, che era stato addirittura in Israele (senza neppure quell’interrogatorio così frequente per tutti quelli che nonostante un passaporto europeo hanno un nome musulmano), che sembra un isolato senza relazioni note con elementi o gruppi organizzati eppure aveva un vero arsenale di armi da fuoco (almeno tre pistole di grosso calibro e un fucile d’assalto AK-47, universalmente noto come Kalashnikov) e dell’esplosivo trovato nella macchina di uno dei suoi fratelli che peraltro si consegnato alla polizia.
Subito dopo l’epilogo della vicenda, sono iniziate le polemiche sulle tecniche fallimentari della polizia francese, pare preferita da Sarkozy rispetto ai gruppi d’intervento della gendarmeria, che non sarebbe stata in grado di operare efficacemente in un appartamento di soli trenta metri quadrati di cui comunque aveva la piantina.
Ma queste sono diatribe che non spostano la natura politica della questione, che oltre al dramma delle vittime e delle loro famiglie, coinvolge inevitabilmente la comunità dei musulmani di Francia.
Sarkozy, dall’inizio dell’assedio non ha smesso di presentarsi come il presidente, anzi il candidato, di tutti i francesi cancellando per una settimana tutti gli altri concorrenti dall’esposizione mediatica e guadagnando almeno tre punti in percentuale nelle intenzioni di voto alle prossime presidenziali il cui primo turno si svolgerà tra meno di mese..
Oggi, una volta di più fragilizzati e minacciati dai proclami razzisti della Pen e ben poco sostenuti dalla sinistra, un parte considerevole dei musulmani di Francia potrebbero avere un riflesso inconsulto e sostenere per paura e desiderio di stabilità uno dei loro peggiori nemici in Europa, il presidente uscente (speriamo per sempre) Nicolas Sarkozy.