Un po’ di tempo ne è passato da quando, era la fine del 2008, per primo a David Cohn venne l’idea di associare il crowdfunding, reduce dalle formidabili performance delle campagne di Obama, al giornalismo d’inchiesta: il risultato fu Spotus la startup seguita con un certo clamore tra gli addetti ai lavori che con quella certa aura dovuta alle grandi speranze fece chiedere a molti: sarà il crowdfunding a salvare il giornalismo?
Ma non è stato così. O meglio, non è stato esattamente così. Se infatti è vero che l’uso del finanziamento della “folla” anche in campo giornalistico è sempre più diffuso da allora e i casi di successo si sono moltiplicati, bisogna anche sottolineare come non manchino affatto segnali poco positivi sulle sue capacità di proporsi come un vero modello economico alternativo. Soprattutto pe rle piattaforme esclusivamente dedicate al giornalismo.
Ad esempio: Spot.us oggi sopravvive all’abbandono del suo creatore (passato a un’altra startup Circa dedicata all’informazione su mobile) e dal 2011 è stato ceduto ad American Public Media che a dicembre scorso aveva promesso investimenti per riposizionare il progetto: scorrendo il sito vediamo che, ad oggi, l’ultimo progetto “fully funded” è del 29 agosto del 2012. Non certo quella rivoluzione che ci si aspettava.
Un altro segnale recente (giugno 2013) poco rassicurante in questo senso è il fatto che gli ideatori di una delle esperienze più riuscite e interessanti del crowdfunding giornalistico come Emphas.is abbiano dovuto lanciare una raccolta fondi per garantire la sopravvivenza della piattaforma, alla quale evidentemente non bastano i risultati eccellenti di questi due anni: 42 progetti finanziati per una cifra totale di circa 440mila dollari (in media poco più di 10mila dollari a progetto) per garantirle un futuro tranquillo.
In Italia si continua a utilizzare questa strada in piattaforme “generaliste” come Eppela o Produzioni dal basso, ma gli spazi esclusivamente dedicati al reporting in questi anni (Dig-it, Spotus Italia e YouCapital) sono nati e purtroppo tutti definitivamente terminati - nonostante gli ottimi propositi - più o meno rapidamente (l’unico in funzione è oggi, a quanto mi risulta, PubblicoBene limitato a progetti nel territorio dell’Emilia Romagna).
Certo in campo internazionale continuano a tutt’oggi storie di folgorante successo. Ad esempio il caso del magazine online olandese De Correspondent o ancora Matter basato sul longform journalism che ha raccolto su Kickstarter 140mila dollari, tutte testimonianze che questo approccio può funzionare, eccome, anche per il giornalismo di qualità. Così come nuove interessanti piattaforme dedicate al giornalismo continuano a nascere: un esempio recente è Vourno.
C’è anche da dire che pensare al crowdfunding, solo e unicamente, come a un modello di business è limitativo: è anche una strategia che mette in moto nuove relazioni e approcci tra lettori e giornalisti con implicazioni ancora tutte da valutare. Anche dal punto di vista etico come ha mostrato il recente “caso” Crackstarter (dove il celebre sito scandalistico Gawker ha chiesto al pubblico, tramite piattaforma Indiegogo, di raccogliere la somma di 200mila dollari necessaria per impossessarsi del presunto materiale “scottante” riguardante un uomo politico).
Quindi alla fine più che chiederci se il crowdfunding funziona o no per il giornalismo, è forse più utile pensare a come utilizzarlo al meglio, e chiedersi cosa un giornalista freelance o una redazione hanno bisogno di fare per mettere in piedi un progetto di finanziamento su base comunitaria che abbia qualche chance di successo.
QUALCHE CONSIDERAZIONE E UN PO’ DI CONSIGLI SU COME PROGETTARE UNA CAMPAGNA DI CROWDFUNDING GIORNALISTICO
Sull’argomento più o meno recentemente sono stati pubblicati un po’ di articoli interessanti, come ad esempio 13 ways to get your journalism project crowdfunded di Laura Shin sul Poynter, e poi ProPublica: 3 Things We Learned About Crowdfunding Journalism su Mashable e A Kickstarter tip for journalists from ProPublica: Crowdfunding is a lot of work su GigaOm, questi ultimi due sull’esperienza che la pluripremiata testata online ha fatto con un progetto avviato sulla piattaforma Kickstarter (che ha raccolto in un mese 25mila dollari). Segnalo anche questo articolo del Nieman Lab: How to make your journalism project succeed on Kickstarter.
Ecco le considerazioni e le riflessioni di questi articoli le ho messe un po’ insieme e riviste, sono per la maggior parte fatte per Kickstarter ma, ovviamente, possono valere in generale, anche se certo conoscere le caratteristiche peculiari di ogni piattaforma e utilizzarle al meglio è un punto fondamentale.
C’è una prima considerazione da fare: il giornalismo è tra le varie “discipline” che utilizzano il crowdfunding quella con meno “appeal”, per una semplice ragione, come fa notare Blair Hickman di ProPublica: “uno dei maggiori ostacoli da affrontare è il fatto che le campagne su Kickstarter funzionano meglio per i progetti concreti e definiti come un documentario, una nuova stagione di un podcast o un nuovo livello di un videogioco: i giornalisti investigativi invece di norma non sanno quale sarà il risultato finale che il loro lavoro produrrà”.
Seconda considerazione: il crowdfunding non è solo uno strumento per singoli giornalisti freelance, ma ha valore pensarlo anche per redazioni – piccole o grandi che siano – anche per le sue potenzialità di engagement con le comunità di riferimento. E anche per gruppi di freelance che si organizzano in un unico progetto.
Ecco quindi un po’ di consigli:
#1 Definire bene il progetto e presentarlo in modo chiaro e creativo. Vista la prima considerazione che abbiamo fatto è particolarmente importante per un progetto di giornalismo investigativo essere molto chiari nel comunicare il progetto. Come detto stiamo “vendendo” qualcosa che non sappiamo esattamente a quale risultato porterà, ha quindi valore spendersi anche a livello creativo (un video di presentazione è quasi obbligatorio) per dare un’idea precisa di quelle che sono le vostre motivazioni nel fare proprio quel reportage. Può sembrare la cosa più scontata, ma è lì che vi giocate il reale coinvolgimento delle persone e soprattutto dei possibili donatori.
#2 Mobilitate i vostri lettori e le vostre reti sociali. Prima di iniziare una campagna Kickstarter, è meglio avere una lunga lista di persone a cui comunicarlo. In caso contrario, a meno che non siate abbastanza fortunati che la piattaforma utilizzata metta il vostro progetto sulla propria homepage, solo in pochi sapranno che il progetto esiste. Quindi è fondamentale iniziare da una base consolidata di persone che già vi conoscono: i vostri lettori (che siate una redazione o un blogger), le comunità online e offline con le quali siete già in contatto e che già seguono e apprezzano il vostro lavoro e l’impegno in precise aree tematiche.
#3 Spendere (molto) tempo nella promozione. Bisogna dedicare parecchio tempo alla promozione progetto, bene saperlo subito. Quali sono le strategie per comunicarlo alla maggior parte dei possibili donatori? La Hickman a ProPublica ha puntato molto su social networking, email di sensibilizzazione e lanci di aggiornamento sul progetto sul sito di ProPublica e una presenza quotidiana sui vari profili nei social media. Così è molto significativo che per il suo progetto alla fine la maggioranza delle persone, quasi il 90%, sia arrivato da referres fuori dalla piattaforma Kickstarter.
Altra cosa fondamentale è elaborate una strategia di sensibilizzazione verso una serie di persone influenti a cui far conoscere prima il progetto in modo che possano eventualmente sostenerlo e condividerlo. Infine se fate parte di una redazione medio/grande pensate seriamente di dedicarvi una persona a tempo pieno. Calcolate anche per questo il costo e quanto incide sul budget totale.
#4 Pensare con cura alle ricompense per i sostenitori (e attenzione, fate bene i conti!). Le ricompense per i donatori sono una parte cruciale dei progetti di crowdfunding (soprattutto su Kickstarter che se ritiene questo aspetto poco curato può anche decidere di non approvare il progetto). A ProPubblica dice ancora la Hickman “abbiamo cercato di essere creativi ma anche di pianificare bene le ricompense da offrire per i diversi livelli di donazione. Ad esempio 25 dollari: una T-shirt, 50 dollari accesso esclusivo a podcast, 5mila dollari disponibilità a parlare in un evento di una celebrità coinvolta dal progetto”.
“Funding is just the beginning” scive il Poynter: offrite ai vostri sostenitori regolari aggiornamenti che mettano a conoscenza del processo creativo, le migliori ricompense sono quelle che fanno sentire i sostenitori parte di un progetto che hanno contribuito a rendere possibile. Più che magliette con logo è utile pensare anche a cose come accesso al processo editoriale, aggiornamenti in tempo reale o contenuti (pubblicazioni, testi, foto, video, podcast) del reportage in esclusiva per i donatori.
Ma attenzione, fate bene i vostri conti: quanto pagate per i premi?, quanto incidono nel budget?, quanto costa la loro spedizione a ogni singolo donatore?, (e qui ci potrebbero esserci anche delle belle sorprese). Avete stanziato un extra budget per il marketing o sono una parte dei fondi raccolti sulla piattaforma che devono sostenerli? Fissare un tetto (ad esempio 10% del totale) su queste tipo di spese e verificatelo con i costi unitari moltiplicati per i donatori che pensate possano essere coinvolti (e vai di foglio Excel).
#5 Considerate bene regole finanziamento e tasse commissione. A proposito di costi, alla prima voce del bilancio per il progetto di giornalismo, è necessario tenere conto delle commissioni, che non sono uguali per tutte le piattaforme. Per esempio, Kickstarter si tiene una quota del 5% dal totale di un progetto finanziato con successo, mentre Indiegogo il 4% su progetti che fanno centro e il 9% su quelli che non lo fanno. Considerate bene anche vantaggi e svantaggi sulle regole di finanziamento per le diverse piattaforme: ad esempio quelle “tutto o niente” (come Kickstarter o Eppela) o “prendi tutto” (per saperne di più leggi qui).
#6 Valutate bene la durata della campagna
Quanti giorni far durare il progetto?, 30 o 60 o più? Scegliete una campagna abbastanza lunga per dare tempo di lanciarsi al progetto, ma abbastanza breve per dare un certo carattere di urgenza (le campagne troppo lunghe tendono a languire dicono al Poynter). Kickstarter ad esempio non permette campagne più lunghe di 60 giorni.
#7 Non dare niente per già acquisito. Ultimo consiglio: avete già rotto il ghiaccio con un progetto e vi è andata bene. Bravi. Ma attenzione: non date per scontato che le persone siano eccitate anche per la vostra seconda campagna così come si sono dimostrate per la prima. Per ogni campagna ricominciate da capo e non date niente per già acquisito, altrimenti la delusione potrebbe essere doppia.
Nota: ho parlato molto di Kickstarter, ma può essere usato dall’Italia? Sì qui e qui un po’ di informazioni su come fare.