Cu nesci arrinesci: tipica espressione in dialetto siciliano che indica che chi emigra avrà successo; letteralmente: “chi esce, riuscirà”. In parole spicciole questo si traduce in una peculiare esterofilia che alimenta un certo sentimento apatico e insofferente che anima i miei concittadini. Dunque secondo questo detto chi si sposta territorialmente per studio e per lavoro (almeno di un migliaio di chilometri da casa) non solo avrà più probabilità di realizzarsi, ma lo farà sicuramente meglio di tanti altri; inoltre, quando un giorno i suoi sacrifici saranno legittimati, sarà sicuramente insignito di un ambito premio di riconoscenza da parte della sua città d’origine, premio che i suoi migliori concittadini, che hanno vissuto e contribuito al sostentamento della città per anni e senza mai lasciarla, col merito di avere inoltre sopportato la peggiore delle pene convivendo con la stupidità della migliore delle proli di Beozia, neppure si sognano.
Una domanda: i cosiddetti premi, ad esempio, alla modicanità, alla ragusanità, alla sciclitanità (per citarne solo alcuni), aggettivi che più che onorificenze sembrano essere nomi di rare e pericolosissime patologie virali (teoria che molti ritengono valida dopo essere stati in contatto con gli abitanti autoctoni delle rispettive città da cui i premi prendono il nome), rappresentano realmente un motivo di orgoglio oppure un palese ringraziamento da parte di amministratori e concittadini per essere andati via dalla propria terra, spesso poco più che adolescenti, proprio perché questa terra non è stata in grado di offrire loro il meglio?
Ma sì: mandiamoli via tutti codesti uomini in gamba che rischiano di far fare brutta figura al popolino, agli uomini qualunque a cui per distinguersi basta avere un SUV o un altro esemplare di tecnologia feroce e inutile, ostentando qualche spicciolo guadagnato magari immeritatamente, e sfruttando il lavoro degli altri.
E c’è anche chi decide di accontentarsi rimanendo nella propria città, sopportando e infischiandosene di popolarità, successo, e premio. Ché nella vita in fondo è bello vivere nel e per il proprio immeritevole mondo.