Sulla Via Emilia
Di cancelli serrati, di ciminiere
spente – ma senza viaggiare
troppo lontano: per sentire
il sapore delle zanzare sulla pelle
e il calore umido del riso.
Tra parrucconi aristocratici con
quelle erre che frustano le orecchie
e graffiano le corde, mentre lo sguardo
delle rughe si scalda nel bicchiere
– e lassù abbiamo combattuto…
…per Libertà! Non avevamo teschi
spillati su spalle nere a rastrellare
anche il pianto, le preghiere di madri
Oggi festeggi. Ancora nelle vene
e sulle labbra ti accompagna ancora
il ricordo dei biscotti allo zenzero
e al cardamomo, che volevi danzare…
Non si sono incrociate le finestre
e ti porti sulla via Emilia una lunga
discussione da film, col nome uscito da un cartone,
in un’aria di neve che domani
impasterà le strade.
Miraggio
Frugare nella spezieria, fra moriscos
e zampognari, per risentire
il sapore di quel bacio da sposa
in Via Cimarosa
appena il cielo si svestiva della notte
- si mischiano le carte per trovare quali dadi
trarre e le tue preghiere questa volta
non sono servite. I tuoi consigli
per cavare quei versi e plasmare
la dura pietra, lì in stazione.
E deve essere caduta la stagione
di camminare senza stringersi per mano:
i passi si fanno grevi, le parole
centellinate come un sorso di Dolcetto,
la dedica adolescente, nei pomeriggi
tra il Parco Ducale e le vetrine con Alice:
ancora ignoravi il suo nome.
Ora in centosessanta caratteri
hai lasciato sgroppare l’abbraccio
tardivo, lo schiocco delle labbra
(che il treno dai finestrini battezza nel miraggio
che al crepuscolo filtri un pizzico di luce sulle pupille)
Bambini
Bambini pedalano ai primi rossori,
gli ultimi rimasti sulla via
e tu ritrovi quei pochi minuti di ricreazione
in cortile: l’immensa fantasia
di giochi tra terra ed erba
ora sono visi eroinati nel parcheggio
del cimitero s’una vecchia peugeot.
Si rasano i prati spulciati da merli
e i tuoi capelli cadono sulle zampe
d’un cane che assalta il tremore
delle ginocchia:
in un altro iper di sabato pomeriggio
confondi il luccichio delle vetrate
al trillo d’una tasca, ai nuovi corpi
già spogliati di primavera.
L’Andrea si strafogherà in qualche bettola
di bestemmie per un’altra mano calata male
“Diu bel!” e il confronto tra Dio e Destino
nella preghiera delle sue pupille
“Se avrei vinto…” mentre ancora ansimi
per respirarlo
sbattendo le imposte.
Panorama
Quel vostro bacio sfrontato
in quell’atmosfera di fine galà
si sperde nell’aria putrida;
eccoli quei fili d’ossa che s’agitano
- paiono Gollum – dove s’annida
il tarlo del panico, un tempo fiorenti.
Sale il sapore ancora caldo di ricotta
e marmellata, dal vaso di gerani
stagnano zanze e mentre la madre
chiama la sua Bea – identici occhi di neve
che si squaglieranno,
ritorna alla mente il Peppino, l’ultimo
ranat, spazzato una sera sul suo Garelli
da un furgoncino della sip;
l’estate era già di sedie sulla strada:
la Carolina, l’altro Peppino, la Manuela
che già usciva col suo moroso, il Claudio
… lo avresti fatto anche tu –
E sei invece lì a consumare una rapida
Carciofa da Pepè mentre lui lieto
con la preghiera in petto ritorna
da Santa Cristina.
In un panorama che gela le tonsille
distribuisci versi in quella quiete ambrata
come tuo nonno sparse scarpe
con la tomaia ancora calda di colla.
* * *
La strada che da Abbiategrasso
va sino a Pavia passando per Motta
e Bereguardo, gomiti e risaie
e cartelli divelti,
un contadino raccoglie i suoi coppi:
– la tromba dell’altra sera
dove non c’è più la mezza stagione –
Lì per una laurea, forse l’ultima
mentre si chiude una porta e si sente
solo un brusio di fumo;
la candela smoccolata non brucia più
sulla pelle ancora fresca
e già hai messo virgole, punti e virgole
e punti alla fine della frase,
proprio quando sul colle infinito
si agita il bastone con un volto d’eremita.
Di nuovo poi sentire oli e vernici
di botteghe tra Borgo Tommasini
e via Nazario Sauro.
Trent’anni dopo
L’hai chiamata in quelle torride
sere la pioggia
ed ora è arrivata a scrosciare
sulle strade allagando cantine.
Ti hanno ritrovato quei capelli di lago
sorsi di sorrisi da versare
sulla tazza di petto:
sono tutte belle le donne,
e lo dici – appoggiato
ad una colonna pavese –
deglutendo boccate di fumo
o cavando dal fango ruote impantanate
in un’avida camporella.
Si squaglia il mascara sull’autostrada
e il tuo pezzo di cartone
è ormai buono solo come carta da bagno,
volto da emigrante del ventunesimo secolo.
Trent’anni dopo non puoi non pensare
a quel cuore scoppiato, spappolato fegato
nella cassa schiacciata,
negli istanti fracassati del corsaro
all’Idroscalo di Ostia:
le parole non erano ancora profezie
solo per i ciechi
ogni giorno muore un poeta.
[Da: Contratto a termine - di Luca Ariano. Ed. Farepoesia (Pavia). Con una prefazione di Francesco Marotta. Euro 7.]