Tutti ammiriamo gli scrittori per la loro straordinaria capacità di narrare; siamo però sicuri che gli venga esclusivamente dal genio?
Può apparire una domanda peregrina, ma in realtà questa è l’occasione per aprire riflessioni interessanti. Ecco un esempio:
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo condusse a conoscere il ghiaccio.
Vado a memoria. Per chi non lo sapesse, è l’incipit di “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez. Splendido, vero?
E questo?
Molti anni dopo padre Renteria si sarebbe ricordato della notte in cui la scomodità del letto…
Facciamo un po’ di ordine. Tutto questo l’ho scoperto grazie a Wikipedia (a Cesare quel che è di Cesare), e il brano arriva dal romanzo “Pedro Paramo” dello scrittore messicano Juan Rulfo.
Lo stesso Marquez ricorda in un’intervista, la fortissima impressione che gli fece la lettura di quell’opera.
Svelo questo retroscena (tale per la maggior parte dei lettori, non per gli addetti ai lavori), perché spesso si sente dire che lo scrittore “autentico” parte da zero, farebbe tabula rasa, e non avrebbe alcun ispiratore. A parte il proprio genio, appunto. Come si vede, è una sciocchezza.
P.S. Qualcuno ha letto “Pedro Paramo”? Giudizi? Critiche?