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Da Pontida e dalla Bossi-Fini a Laura #Boldrini
Creato il 21 marzo 2013 da Intervistato @intervistatoNon ho mai risparmiato critiche o contestazioni verso il gruppo dirigente, non sempre aperto all'ascolto dei militanti e in alcuni casi miope e sordo alle domande di cambiamento (emblematiche le amministrative di Napoli). Tuttavia, va dato merito a Nichi Vendola, nonostante i limiti delle primarie per i parlamentari di Sel (il listino bloccato riservato ad alcuni dirigenti andava evitato), di aver portato in Parlamento una figura splendida e cristallina come Laura Boldrini. Una donna che, a costo di apparire retorico, ha speso gran parte della sua vita a difendere gli ultimi, i migranti e i rifugiati.
Su Il Messaggero di qualche giorno fa, vi è un aneddoto sulla nascita della sua candidatura come deputata. La Boldrini si trovava in Grecia, questa volta a soccorrere un uomo di colore malmenato, massacrato di botte da simpatizzanti di Alba Dorata, formazione politica neonazista. E' qui che riceve una telefonata da parte di Nichi Vendola, desideroso di offrirle un un posto nelle liste di Sel. Il governatore pugliese, tuttavia, non riesce quasi a proferire parola (il che è tutto dire) perché lei, terribilmente presa da quella vicenda, lo sommerge al telefono per dieci minuti, raccontandogli minuziosamente l'accaduto e le sue sensazioni. Solo poi un: «Ah, scusa Nichi, volevi dirmi qualcosa?».
Nella sua nomina e nel suo discorso vi è stata una rottura totale con il passato: una rottura nei modi di fare e d'intendere la politica, nello stile e nel linguaggio. Non più uomini di partito, non più la vecchia nomenclatura, non più le Finocchiaro o i Franceschini (i nomi più caldeggiati fino a due giorni fa; la presenza del M5S ha sicuramente influito sul cambio di rotta), non più personaggi estraniati dal mondo che mai hanno conosciuto il dolore sociale, ma una rappresentante del mondo associazionistico e del volontariato, lontana da tutto ciò che potrebbe essere definito come «casta», continuamente impegnata in missioni umanitarie in Paesi come Afghanistan, Pakistan, Iraq, Iran, Sudan, Caucaso, Angola e Ruanda, che le hanno permesso di vivere in prima persona la povertà, la sofferenza, le difficoltà di ognuno.
Non più i bunga-bunga, non più gli insulti contro la Magistratura, non più le offese di stampo razzista contro i migranti. No, non più. Non più i «Non vorrei mai fra cinque anni e un mese trovarmi un presidente abbronzato», «In un paese civile non si può fare votare dei bingo-bongo che fino a qualche anno fa stavano ancora sugli alberi», «Tornino giù nel deserto a parlare con i cammelli o nella giungla con le scimmie» di Calderoli, i «Pensate se ai nostri nonni avessero raccontato che noi ci lasciamo togliere i canti natalizi da una banda di cornuti islamici di merda», «Noi ai clandestini bastardi gli diamo il mille per mille di calci in culo con la legge Bossi-Fini» di Borghezio, non più i diti medi di Bossi, ma la parola «diritti» (la più pronunciata, ben sette volte, eccetto i termini comuni del nostro vocabolario), la bellezza del linguaggio, la sensibilità, l'ascolto, la persona nella sua essenza e nella sua sofferenza al centro dell'agire politico.
«Farò in modo che questa istituzione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno. […] Dovremo impegnarci tutti a restituire piena dignità a ogni diritto. Dovremo ingaggiare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri. […] Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore. […] Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante. […] Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore e inesplorata di un disabile. […] La politica deve tornare ad essere una speranza, un servizio, una passione».
Dopo anni di rutti provenienti da Pontida, ne avevamo davvero bisogno.
Pasquale Videtta | @pasqualevidetta
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