Per molti il pensiero di un cimitero di sacerdoti cattolici è da ricollegarsi al Vaticano, alla Santa Sede, alla Chiesa di Roma. In verità è tutt’altro che così. Il più grande cimitero cattolico per sacerdoti è a Dachau, in Germania, a qualche chilometro da Monaco. La sua dimensione è legata al Nazismo, ai campi di concentramento e di sterminio, alla figura di Hitler e delle SS.
Stando ai registri del campo di Dachau, negli otto anni che vanno dal 1938 al 1945, furono deportati 2.579 sacerdoti cattolici, ai quali si aggiungerebbero 141 tra pastori protestanti e religiosi ortodossi. Un vero e proprio eccidio nell’eccidio nazista degli anni bui del Secondo conflitto mondiale. Fra gli oltre 2.500 deportati, ben 1.034 trovarono la morte durante il periodo di prigionia: Dachau divenne il loro cimitero. Uomini dalla straordinaria umanità che hanno saputo rispettare la propria fede e il proprio credo, fino al sacrificio della vita. Vittime di un processo di disumanizzazione senza pietà e senza precedenti storici.
In Germania, nel campo di concentramento di Dachau, arrivarono sacerdoti da tutta Europa: Italia, Francia, Polonia, Olanda, e addirittura da quella stessa Germania che si macchiava di un tale orribile crimine contro gli uomini. Le ragioni delle deportazioni furono molteplici. Dall’essersi opposti al programma di eutanasia operato dal regime hitleriano, al solo fatto di essere considerati una “minoranza da eliminare” come nel caso dei cittadini polacchi.
Guillaume Zeller, autore del libro “La Baraque des prêtres. Dachau, 1938-1945″, edito da Editions Tallandier, scrive: “Primo Levi, per quanto ateo, aveva riconosciuto l’ammirevole statura morale e intellettuale dei rabbini deportati ad Auschwitz. Se le circostanze sono differenti, la stessa cosa si può dire per i preti di Dachau“. Così, mentre la Germania di Hitler tentava di disumanizzare uomini dalla straordinaria moralità, questi sacerdoti tennero sempre ben saldi i valori della fede e della speranza, ricorrendo alla preghiera come fonte di sopravvivenza agli orrori dello sterminio sistematico.
Ricordo, in questo caso, la tenacia e la perseveranza di padre Kolbe, che resistette per giorni interi nel Blocco 13 di Auschwitz, nel cosiddetto bunker della fame. L’agonia fu attenuata a tratti dalla pratica profonda della preghiera. Ciò che permise a questi sacerdoti di resistere all’agonia di quella parentesi buia di storia, furono i sacramenti e la pastorale, “un’autentica armatura contro i colpi inferti alla morale e alla fede“.
Le testimonianze interne al campo di Dachau, parlano di una terribile epidemia di tifo nell’inverno 1944-1945 che decimò gli internati. Per non rischiare il contagio le autorità del campo smisero in quel periodo di raggiungere le baracche. I sacerdoti, invece, continuarono a prestare soccorso e ad essere di supporto a quanti erano stati colpiti dall’epidemia. Il loro eroismo conservava in sé il germe della santità. Molti di questi sacerdoti morirono a seguito del contagio.
All’esperienza drammatica di Dachau è collegato il nome del seminarista tedesco Karl Leisner, che fu il primo e unico a ricevere la consacrazione “clandestinamente”. La sua ordinazione fu celebrata in una baracca del campo di Dachau dal vescovo di Clermont-Ferrant, monsignor Piguet. Quest’ultimo fu deportato nel campo di Dachau con l’accusa di aver nascosto diversi ebrei. Per questa ragione oggi rientra nel numero dei “Giusti di Yad Vashem” che ostacolarono il programma omicida della Germania nazista.
L’eroismo di questi sacerdoti fu celebrato sotto i pontificati di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco attraverso la beatificazione. In nome di un’eccezionale carità fu a loro riconosciuto il valore di beati del cimitero di Dachau.
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