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Dal multiverso all’abiogenesi, congetture confuse con teorie scientifiche

Creato il 30 gennaio 2013 da Uccronline

Universo e punto interrogativo 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Prima il “modello” matematico dei meteoriti panspermici, presentato a un convegno di astrofisici a Madrid; poi, la presenza (“forse”) di composti del carbonio su Marte, comunicata dalla Nasa; poi l’annuncio in un meeting di astronomi a Long Beach di tracce (“ancora incerte”) di un composto dell’azoto a un migliaio di anni luce da qui. Ieri le alghe spaziali, “forse”… Tutti i giorni escono da organi scientifici notizie insignificanti (e “forse” false), per essere rimbalzate nelle sezioni cosiddette scientifiche dei media, dove il titolo si ripete a caratteri cubitali: scoperti i precursori della vita!

L’interesse dei giornali si capisce: è quello di vendere copie. Quello della Nasa è chiaro: convincere il Congresso USA sull’orlo del fiscal cliff a mantenere gli stanziamenti. Ma quello degli scienziati? Formulo due congetture, non necessariamente alternative: la prima è che anch’essi devono promuovere le loro dispendiose strutture di ricerca ed i loro confortevoli simposi, tanto più quando per scarsità di scoperte vere non hanno applicazioni in vista con cui attirare il venture capital; l’altra è che non sanno più dire: “Non sappiamo”. Esito: disinformazione e indottrinamento di massa. Un martellante Minculpop.

In-dottrina-mento = “sistema per caricare nozioni dentro”. Un bel esempio sono le madrasse afghane, dove i talebani (in arabo, scolari) imparano a memoria, senza capire né tantomeno discutere, le nozioni di Corano che l’iman (il dotto) detta loro, con un meccanico travaso di ortodossia congelata da una memoria vecchia ad una nuova. Ma anche l’Occidente smaliziato è cosparso di madrasse, più efficienti di quelle islamiche perché usano nomi diversivi e metodi accattivanti: sono distribuite tra gli organi d’informazione (“in-formazione” = formare dentro) stampa, radio-tv e internet. Se una fonte “dotta” – un divulgatore free lance alla ricerca di scoop, un’associazione scientifica, un ente tecnologico o una gilda d’insegnanti – spaccia per evidenza scientifica ciò che è solo una fantasia, allora noi siamo oggetto d’indottrinamento.

Sull’home page dell’ANISN (Associazione Nazionale Insegnanti di Scienze Naturali) svetta il motto “Nulla ha senso in biologia se non alla luce dell’evoluzione”: anche se è una banalità empirica ammiccante ad una teoria scientifica che non c’è ancora, il mantra è lì a proclamare che la spiegazione della vita già c’è e non vale la pena di cercarla. Stop. Ancor più perentoria è la pagina dell’ANISN dedicata all’abiogenesi: qui si legge che la formazione della vita nel nostro pianeta è un problema “ancora non completamente chiarito”. Ebbene, questa sarà anche la perifrasi politicamente corretta di denotare le questioni su cui la scienza non sa nulla, però intanto inculca l’idea che il problema è risolto, se non per qualche dettaglio. Il che è falso. Lo spettro delle congetture imbastite negli ultimi 70 anni (una dozzina, le principali) comprende le assunzioni più contraddittorie: da chi considera l’abiogenesi un evento improbabile ed irripetibile, a chi all’opposto la ritiene ineluttabile ed iscritta nella natura delle cose; da chi specula che tutte le forme di vita abbiano avuto origine “verticale” da un comune antenato, a chi invece postula un’era di forme prebiotiche con scambi genici “orizzontali”, da cui si sarebbero dipartiti i vari rami filogenetici. Insomma, la nostra conoscenza su come sia sorta la vita nella Terra è identica a quella di cui disponeva Hammurabi di Babilonia 4.000 anni fa, che la fondava su Marduk: zero.

Intendetemi, non voglio dire che sia illegittimo in scienza speculare: anzi, quest’attività che interessa direttamente la ricerca, è un motore dell’avanzamento scientifico. Però le congetture (i mezzi) non vanno confuse con i fatti o con le teorie scientifiche (i fini). La caratteristica di una teoria scientifica corroborata è di descrivere una fenomenologia (delimitata e semplificata) della Natura in maniera veridica, in quanto le sue assunzioni si sono dimostrate capaci di fornire predizioni validate dall’osservazione sperimentale, prima o poi anche confortate da applicazioni tecniche. Non esiste una procedura algoritmica (tipica delle macchine) per ideare teorie scientifiche, ma solo quell’attività unica ed irriducibile della mente che si chiama intuizione. L’attività di ricerca guidata dall’intuizione procede per tentativi ed errori, per durature sbandate interrotte da qualche raro, serendipico colpo di genio. “Nell’onesta ricerca della conoscenza tu devi molto spesso riconoscere la tua ignoranza per un periodo indefinito. [...] La volontà di resistere in piedi davanti a questa necessità, anzi di apprezzarla come stimolo e ripartenza per una ricerca ulteriore, è una disposizione naturale ed indispensabile nella mente d’uno scienziato” (Erwin Schrödinger).

Il 30 dicembre si è spento Carl Woese, un microbiologo che ha cercato di liberare la sua disciplina dalle manette del meccanicismo e del riduzionismo. In riferimento alle storielle ad hoc che in biologia si amano raccontare per spiegare col senno di poi le proprietà degli organismi viventi, diceva: “Pensa alle spiegazioni della biologia evolutiva classica [il darwinismo] alla luce della ragione e della moderna evidenza empirica, prima di stendere un tappeto davanti ad esse. La maggior parte si mostreranno soltanto delle congetture che i biologi dell’800 usavano per stimolare i propri pensieri; ma le congetture, dopo essere state ripetute nel tempo, sono state nella nostra epoca scolpite nel marmo: i concetti moderni dell’evoluzione cellulare sono di fatto versioni pietrificate delle speculazioni del 19mo secolo. […] Puntare ad indovinare di per sé non è una bestemmia; bestemmia è mascherare ipotesi, congetture e altre cose simili come soluzioni finali o fatti, così violando le norme scientifiche”. Che impongono finalmente il setaccio di predizioni controllabili. Una scienza che non riconosce la propria ignoranza degenera nel suo opposto: il dogmatismo.

Non solo la biologia ha i suoi talebani a profanarla 70 volte al giorno. Il 15 gennaio scorso Michele Forastiere ha scritto un divertente un divertente articolo sulle invenzioni dei psicologi per spiegare il comportamento umano. In fisica le storielle ad hoc si chiamano modelli. La differenza tra i due tipi letterari sta soltanto nel linguaggio usato, che nelle storielle è una lingua parlata (ufficialmente, l’inglese), avente difetti e pregi degli idiomi: imprecisione e vaghezza, ma anche spalancamento alla fertilità della poesia; nei modelli è la matematica, con le sue virtù d’esattezza e compattezza, ma anche con la sua sterilità tautologica.

Una fabbrica che da 50 anni sforna sempre nuovi modelli alle riviste, più di quanto l’industria tedesca non faccia al mercato dell’auto, è la cosmologia. Per ripugnanza della metafisica apparentemente implicata dalla relatività generale – che dalla predizione dell’espansione intergalattica estrapola un inizio assoluto dell’Universo –, fin dalla prima metà del secolo scorso alcuni fisici furono comprensibilmente ansiosi di trovare una via d’uscita, capace di restituire il conforto di un Universo eterno. Il primo fu Einstein stesso, che tentò una correzione ad hoc della sua teoria, di cui si sarebbe pentito come del “più grande errore”, dopo che nel 1929 l’espansione fu osservata da Edwin Hubble col red-shift. Anche Fred Hoyle, che per spregio inventò il nomignolo “Big Bang”, non poteva accettare una teoria allusiva ad un’Agenzia soprannaturale. “A molti ciò appare assai soddisfacente – diceva – perchéqualcosa’ fuori della fisica può essere introdotto al tempo t = 0. Poi subito, con una manovra semantica, la parolaqualcosaviene sostituita dadio’, con l’eccezione che la prima lettera diviene maiuscola, ‘Dio’, quasi ad avvertirci che non possiamo portare la ricerca oltre”. Ma lui, novello Prometeo, dismise l’auto-avvertimento e portò avanti la ricerca, formulando nel 1948 il modello dello “stato stazionario”. Secondo tale congettura, l’Universo è sì in uno stato di espansione isotropica; però, man mano che le galassie si allontanano, nuova materia è creata (come? da che cosa? il modello tace) nei vuoti di spazio creati dalla recessione. Così, riavvolgendo all’indietro il film, materia ed energia ora scompaiono, la densità dell’Universo non diverge più al tempo t = 0 e… zac!, la singolarità iniziale scompare. Purtroppo, l’ipotesi dello stato stazionario non fu mai confermata da uno straccetto di misura: il suo fascino era puramente metafisico. La falsificazione decisiva al modello venne con due scoperte che corroborarono la teoria Standard, in aggiunta al red-shift: la nucleosintesi degli elementi leggeri e la radiazione di fondo.

Dal primo modello “cosmogonico” di Hoyle la creatività umana ne ha ideato in 65 anni 65 altri, culminati nei “multiversi” multi-livello. Un multiverso dovrebbe prendere due piccioni con una fava: eliminare la singolarità iniziale e spiegare la coincidenza (fine tuning) di una ventina di costanti fisiche, che fin dal Big Bang sembrano calibrate esattamente per permettere lo sviluppo della vita nell’Universo, dopo una decina di miliardi d’anni dal suo inizio. (La Terra ha ubbidito immediatamente). L’idea del multiverso è stata presa in prestito dal filosofo presocratico Democrito, “che ‘l mondo a caso pone” (Dante). Come mostro in un altro articolo, il fallimento scientifico della congettura neo-democritea è totale:
1) non ha partorito in oltre mezzo secolo una predizione verificabile;
2) se mai lo farà, non rispetterà il rasoio di Ockam;
3) non risolve il problema di un inizio assoluto anche del multiverso… e manco quello del fine tuning per cui l’idea fu esumata.

I multiversi, ha confessato un loro ideatore, Alex Vilenkin, non appartengono alla fisica, ma sono “esercizi di cosmologia metafisica”, buoni a riempir le pagine delle riviste peer review (ed il cv degli autori). Anche Stephen Hawking ha riconosciuto che la sua cosmogonia non è realistica, ma con lo scatto dell’idealista ha invocato l’inconoscibilità del noumeno: “Io non so cosa sia la realtà. Io condivido il punto di vista positivista che una teoria fisica è solo un modello matematico e non ha senso chiedersi se essa corrisponde alla realtà. Mi accontento che faccia delle predizioni osservabili”. Qui, però, non si contestano le concezioni filosofiche dei fisici, ma la scientificità di alcune loro congetture: dove sono le “predizioni osservabili”, se è lecita la domanda dopo 65 anni di studi pagati dai contribuenti?

C’è un altro clamoroso caso in fisica di abuso della matematica, talché la volatilità della seconda fa perdere alla prima ogni contatto con la realtà: la congettura delle stringhe (evolute in super-stringhe evolute in membrane evolventisi in super-membrane…). In 40 anni nessuna predizione: né la massa d’una particella elementare, né una costante di coupling, né il numero delle interazioni di “gauge”. Zero. Brian Greene, uno dei massimi studiosi di questa matematica non ancora formalizzata, ha detto: “Non chiedetemi se ci credo. La mia risposta sarebbe quella di 10 anni fa: no. E questo perché io credo solo a teorie che possono fare predizioni controllabili”. Si stima che più di 10.000 anni-uomo siano stati buttati ad esplorare la congettura. Può essere utile il confronto con la dozzina bastata ad elaborare ognuna delle 3 principali teorie della fisica moderna: l’elettromagnetismo, la relatività e la meccanica quantistica.

Il fatto è che la matematica è come il cappello d’un illusionista: ne esce solo ciò che ci metti dentro. Un modello, da solo, non può spiegare nulla più di ciò che l’autore vi ha postulato. Come la prestidigitazione, la matematica usa procedure precisissime e ignote ai più, che richiamano la magia; ma solo i bambini ci cascano, perché credono alla magia. Tantomeno la matematica può portare all’esistenza fisica un pensiero, o un sistema logico-formale di pensieri. “Che cosa ha soffiato il fuoco sulle mie equazioni dando loro un Universo da descrivere?”, s’interrogava un tempo Hawking, con modestia. Poi, a forza di matematizzare e astrarre, ha violato una regola aurea del metodo scientifico – “La matematica è al termine della filosofia naturale, ma non la deve generare” (Francesco Bacone) – ed è cascato nella stregoneria delle “sue” equazioni che “fanno apparire l’Universo dal nulla”…, divenendo una star degli idola theatri.

L’uomo di scienza postula l’esistenza di una realtà indipendente (la “Natura”) che si prefigge di spiegare; assegna al linguaggio logico e matematico il suo ruolo descrittivo e predittivo; osserva, intuisce, congettura; confronta le predizioni delle sue congetture con nuove osservazioni; e solo se c’è accordo conserva le congetture. Quando nel suo racconto non ci sono predizioni osservabili o non c’è accordo tra predizioni ed empiria, abbandona il racconto e ne cerca un altro. Perché la Natura sta come roccia indipendente dalla fantasia e, a differenza della letteratura, la scienza ha il compito di descriverla oggettivamente. Questa è la scienza moderna secondo i maestri fondatori: “Non più cortigiana, strumento di voluttà, né serva, strumento di guadagno; ma sposa legittima, rispettata e rispettabile, feconda di nobile prole, di vantaggi reali e di oneste delizie” (F. Bacone).

Quanta parte della ricerca contemporanea rientra nei canoni della scienza moderna?


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