Popoli, storie e avventure in un viaggio televisivo targato Alberto Angela. A Passaggio a nord ovest si parte dalla Nabibia e dal suo deserto per arrivare all’avventurosa sfida di due giovani americani a 5600 metri di altezza.
È il risultato di un lungo processo di dilatazione e contrazione della rocce che si spaccano fino ad arrivare a essere dei minuscoli granelli portati dal vento che li deposita formando le dune. Distese infinite dai toni malva e ocra, insomma, tutto ciò che rimane di un’ intera montagna demolita. Accumuli di sabbia con dune alte fino a 320 metri. Dune immense come immenso è il silenzio che le contiene. Un regno di vento e sole. Dune dinamiche, che si spostano ed assumono forme particolari per effetto del vento e colori diversi, dal bianco intenso al giallo fino alle tinte più calde dell’ocra. Un deserto che copre tanti tesori, come i diamanti e quello che resta dell’ingordigia umana che in passato, scatenò una vera corsa all’oro per poi far tornare tutto in balia del vento, della sabbia e del silenzio. Sono queste le dune che stanno lentamente divorando la città fantasma di Kolmanskop. Un tempo fulcro della prospera industria diamantifera, oggi città fantasma, dove il deserto piano piano ha preso il sopravvento e si è insinuato lentamente e subdolamente nelle case, negli orti, nelle baracche, nelle finestre rotte, nelle porte ormai divelte, penetrando proprio dove un tempo fervevano intense attività umane. Poi, furono trovati diamanti più a sud e Kolmanskop, abbandonata, divenne un emblema: una gabbia dorata nel nulla.
E dai silenzi immutati dal tempo, il viaggio e la nostra attenzione si sposta su una sola ruota, cavalcata da Kris e Nathan, due giovani americani, che tra giocoleria e l’equilibrio hanno realizzato un’impresa impossibile e senza precedenti, lanciandosi in una discesa spericolata in “monociclo” lungo la terza vetta piu’ alta del Nord America: il vulcano Orizaba, alto 5600 metri, in Messico. L’avventura ha mille forme, mille sfide e in questo caso una sola ruota. Un mezzo improbabile e semplice: una ruota, una forca, un sellino, un uomo e tanto equilibrio. Uno sport originale che si avvicina alle abilità circensi dove non c’è superficie o ostacolo che tenga, tutto viene superato con salti temerari che richiedono abilità tecnica e coraggio. Uno sport estremo dove lividi e graffi sono sempre presenti perchè le cadute sono sempre in agguato. Una questione di attimi, un fondo instabile e la terra, torna sotto i piedi…per ricominciare, un attimo dopo, l’avventura acrobatica dell’uomo, che superato il vulcano pensa a una nuova vetta, forse l’Himalaya, un piccolo angolo sul tetto delle nevi del mondo da cui hanno avuto origine le mele…A 2000 metri di altitudine con temperature incredibili crescono intere foreste di meli. In Kazakistan esistono delle immense foreste di meli selvatici che hanno circa 165 milioni di anni. Questi meli, i malus sieversii, sarebbero l’origine della mela, ovvero i progenitori delle nostre mele coltivate. La mela, frutto di un albero che affonda le sue radici addirittura nell’Asia Centrale all’epoca del neolitico, più di 10000 anni fa, si diffuse in tutta Europa a partire dall’antichità. Mele commestibili, dolcissime, colorate e dalle forme differenti, popolano questi frutteti dando vita a una straordinaria combinazione di generi naturali, una biodiversità davvero incredibile. Antenata di tutte le mele, la Malus sieversii è dolcissima, resiste a tutte le insidie del progresso, ma non alla deforestazione. L’associazione naturalista e ambientalista Alma ha lanciato l’allarme: rischia di sparire.
La mela conosciuta come la mela di Adamo e Eva, una sorta di superfrutto che fino ad ora aveva resistito ad ogni sorta di aggressione del progresso, giunta fino a noi grazie agli orsi, che mangiando i semi e defecandoli innescano il meccanismo naturale che li fa tornare alla terra, affidata ai nomadi che l’hanno spostata dalla terra d’origine, oggi, rischia la scomparsa. L’enorme varietà genetica l’ha resa resistente agli agenti patogeni. Il loro patrimonio genetico, incrociato con quello di altre mele, potrebbe seriamente contribuire a rendere più sane le mele di tutto il mondo. Ebbene, tutto questo è legato alla deforestazione, conseguente purtroppo alla urbanizzazione incontrollata e alle colture diverse degli spazi selvatici. Secondo Alma, già il 70% dei meli sono stati devastati rischiando di perdere per sempre questo patrimonio fondamentale.Un grido d’allarme che ci giunge dal passato e che vorebbe, ancora affiancarci nel futuro, se glielo concediamo.