Quindici anni fa il futuro era l'economia all'idrogeno. Ovviamente a portata di mano, economica e sostenibile. C'erano anche giornali seri, come Repubblica, che pubblicavano un articolo oggi e un'intervista domani per sottolineare che il problema era solo politico: bastava decidersi per abbandonare il petrolio e passare all' economia dell'idrogeno. Che nel frattempo è ancora lì, pronto all'occasione per rappresentare l'economia di un imprecisabile futuro.
Prima ancora c'era stata la fusione nucleare. Non la bufala (dal punto di vista energetico) della "fusione fredda", ma quella caldissima su cui dalla metà del secolo scorso l'intera umanità sta investendo intelligenze e cifre iperboliche. Anche perché su un punto tutti concordano: che l'energia da fusione nucleare sarà disponibile tra circa 50 anni. Frase, questa, che viene ripetuta con ferma convinzione ogni anno, da 60 anni.
Pure le previsioni sulle nuove fonti rinnovabili non scherzano: a leggere giornali e commentatori sembrerebbe che a partire dal 2000 il mondo non faccia altro che investire sul sole e sul vento. Per fortuna non è stato così, che altrimenti dovremmo preoccuparci, visto che dal 2000 a oggi il contributo di tutte le nuove tecnologie rinnovabili (sole, vento, geotermia, mini-idro eccetera) alla domanda mondiale di energia è passato dallo 0,5% a circa il 2%.
Fotosintesi artificiale: prosegue la ricerca di base
Con la fotosintesi artificiale non siamo ancora arrivati alla promessa di energia pulita, abbondante e gratuita, ma siamo sulla buona strada. Viene già presentata come una tecnologia a portata di mano che è in grado di produrre idrogeno o altri combustibili (sia liquidi che o gassosi) imitando le foglie, cioè utilizzando solo la luce del sole, l'acqua e la CO2 presente nell'atmosfera. Il tutto, ovviamente, in modo conveniente e pulito.
Le cose non stanno proprio così, ma sicuramente, da un punto di vista tecnico, il processo di fotosintesi artificiale è fattibile. In laboratorio, dove sistemi per convertire energia ottica (la luce del sole) in energia chimica (combustibili liquidi o gassosi) sono allo studio da decenni e registrano progressi costanti. Per quanto riguarda le applicazioni pratiche, però, al momento non c'è nemmeno l'ipotesi di qualcosa che possa avere una seppur vaga applicazione commerciale.
In ambito scientifico c'è consapevolezza che si tratta di una tecnologia potenzialmente importante, ma anche che i problemi sono davvero tanti e complessi, senza che ancora si prospettino soluzioni sicuramente fattibili. E non parliamo di costi, sui quali non è ovviamente possibile dire niente, a parte che - essendo purtroppo finita l'epoca della creazione divina - qui sulla Terra quando si parla di conversioni chimiche di norma si sta anche parlando di catalizzatori, cioè di metalli o leghe che (finora) sempre presentato la caratteristica di essere rari e preziosi.
Insomma, la fotosintesi artificiale è ancora un settore di frontiera. Che può e deve crescere, ma può farlo solo con ricerca e poi ancora ricerca, che tradotto vuol dire: volontà, capacità, tempo e finanziamenti.Ed è qui il punto in questione. I filoni di ricerca verso la fotosintesi artificiale sono vari e diversi. La stessa fotosintesi artificiale è in concorrenza con decine di altre possibili tecnologie energetiche innovative: nuovi materiali fotovoltaici, bioreattori, generatori piezoelettrici, motori termoacustici, materiali termochimici, processi osmotici e molto altro.
Finanziamo tutto? È un po' quello che si cerca di fare in ambito universitario. Ma per ottenere risultati è consigliabile concentrare le risorse e indirizzarle verso le ricerche che promettono migliori risultati in tempi più brevi.
Insomma: anche la scienza è in competizione. Quindi il ricercatore che vuole continuare a fare ricerca di qualità deve continuamente produrre nuovi risultati, in base ai quali otterrà ulteriori finanziamenti che gli consentiranno di ottenere nuovi risultati e così via, verso l'auspicata fama.
È per questa ragione che da team di ricerca, università e industrie sono spinti a presentare ogni minimo risultato raggiunto come fosse un grande successo, annunciando l'obiettivo finale come lì lì a portata di mano. Per favore: finanziateci l'ultimo indispensabile, piccolo sforzo!
Per la fotosintesi artificiale, recentemente si è scomodato anche scomodato anche il MIT per ricordare che gli sforzi del JCAP (il Centro comune americano per la fotosintesi artificiale, creato nel 2010 dall'Amministrazione Obama, e che ora si teme perda finanziamenti governativi) stanno dando qualche risultato, e sarebbe veramente un peccato se ora quegli sforzi non fossero sostenuti.
Però anche leggendo solo il testo pubblicato dal MIT si capisce quanto si sia ancora ai primi passi per questo filone di ricerca. Che nel tempo ha registrato decine e decine di altri comunicati enfatizzanti i grandi progressi fatti, in molti casi prospettando anche l'ipotesi di una prossima competitività industriale, o comunque di un utilizzo commerciale realizzabile in tempi brevi.
I comunicati di questo tipo sono decine l'anno da almeno un quinquennio, in ogni parte del mondo e quasi sempre promettono risultati strabilianti, anche superiori a quelli di madre natura.
Sia chiaro, non è che i ricercatori o gli industriali poi credano a queste mezze verità o intere panzane. Il problema è tutto nel sistema di informazione (che deve spettacolarizzare ad ogni costo) e di ricerca del consenso (che deve promettere la luna in cambio di voti). Per cui la morale non è che non vanno fatte le ricerche sulla fotosintesi artificiale, o sull'energia osmotica o sulla fusione fredda, ma piuttosto che bisogna anche sforzarsi di creare canali informativi seri. O per lo meno democratici, che cioè consentano non solo di sognare, ma anche di scegliere tra le possibilità concrete a disposizione, conoscendone rischi, costi e alternative nel contesto di competizione internazionale in cui viviamo.
[ Valter Cirillo]