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Daniele che abitava in via XX Settembre

Creato il 21 aprile 2012 da Theartship

Andrea M. Campo. 

Quante ore sono trascorse? Il freddo filtrato dai polmoni si è insinuato nelle viscere intorpidendo i sensi. Chissà se rivedrò la luce. La verità è che nessuno si abitua al buio. Come ne “Il pozzo e il pendolo”. Non ricordo il nome del protagonista. Chiuso in una stanza priva di finestre avanzava lungo le pareti tentando di capire dove si trovasse. E anche io come lui, non potendo usare i miei occhi, rimango stordito, immobile in questa gelida oscurità.

Stupidi uomini.

Stupidi.

Lasciamo che la percezione del mondo sia condizionata dall’ultimo dei sensi, forse il più fragile; il buio, prima benevolo compagno che nasconde gli orrori del mondo, diventa il nostro peggior nemico e divora ogni minaccia per divenire pericolo esso stesso.

Ho sempre amato Allan Poe e le perverse atmosfere oniriche delle sue storie. Da bambino, nascosto sotto le coperte con una piccola torcia, aprivo una pagina a caso e leggevo, immergendomi in un abisso cupo. Credevo che oltre le coperte si nascondesse l’orrore di quelle pagine.

Ripensandoci, lui poteva muoversi. Lui, il protagonista del racconto di Poe, dico.

Io a malapena riesco ad alzare le dita. E il dolore alle gambe sta diventando insopportabile.

Non riesco più a muovere neanche quelle.

Chissà quali tenebre hanno lacerato l’anima di Fortunato, amico di Montresor, condannato a morire di inedia incatenato a una parete e murato vivo. Non aveva speranze in quella tomba di pietra, nessuno mai lo avrebbe sentito. Il suo cuore avrà ceduto d’un tratto lasciandogli sul volto un ghigno folle e disumano. Io posso coltivare ancora qualche speranza. Devo avere pazienza. Qualcuno mi troverà. Non so quando accadrà. Ma accadrà. Devo avere solo pazienza.

Poe era tafofobico, aveva paura di essere sepolto vivo come me. Almeno fino ad oggi. Oggi non ho più paura. Chissà che giorno è oggi, quanto tempo è passato: un minuto o un giorno, tutto questo  non ha alcun valore al buio ma quanto potrò ancora resistere. E’aumentata la fame, fortunatamente le gambe non dolgono più.  Vorrei urlare ma con il ventre schiacciato l’aria che giunge ai polmoni è appena sufficiente per respirare.

Se potessi avere il cuore del vecchio assassinato invece… Chiunque si avvicinerà potrà sentirlo. E mi troverà. Come diceva Poe? Sembra quasi “il rumore che fa un orologio quando è avvolto nel cotone”.

Che stupido, il cuore rivelatore ticchettava solo nella testa dell’omicida.

Sto impazzendo o le considerazioni di chi si trova nella mia condizione sono sempre le stesse: Berenice, prima di perdere i sensi, avrà sperato di essere salvata.

Che stupido che sono. Io morirò qui. Devo accettarlo. Ho i crampi allo stomaco. Credo di avere un braccio fratturato e le mie interiora sono ridotte in un’indistinta poltiglia. Il sapore metallico del sangue rigurgitato sale dalla gola pizzicandomi il palato. Avrei dovuto essere reattivo come l’amico di Roderick Usher e di Lady Madeleine: un balzo fulmineo e il crollo della vecchia bicocca non mi avrebbe investito.

Non ho più forze. Tutto finirà lentamente. Tutto si scioglierà gradualmente come in un velato sogno ricorrente. Un sogno condiviso in cui ognuno di noi cercherà se stesso. Chissà quanti siamo. Tanti nomi da ricordare per i telegiornali e per la stampa. Troppi nomi: diverremo anonimi come i protagonisti dei racconti di Poe, perderemo la nostra individualità e saremo riuniti tutti sotto il titolo di un’unica storia, un’unica triste vicenda di cronaca.

Daniele si addormentò e riaprì gli occhi sentendo un cane abbaiare. “Presto presto” qualcuno gridava “qui c’è ancora qualcuno vivo!”. Un raggio di luce illuminò il volto del ragazzo che cominciò a piangere. Con delicatezza i pompieri lo tirarono fuori dalle macerie e lo adagiarono su una barella. “Grazie, grazie, grazie” continuava a ripetere convulsamente. Un medico assicurò l’arto spezzato con due stecche e pregò i barellieri di portarlo immediatamente al vicino ospedale.

Con non poco sforzo, Daniele indicò un punto sotto le macerie della casa dello studente.

“Vi prego scavate ancora, c’era la mia ragazza con me” disse con un filo di voce “Lenore deve essere ancora viva”.

Daniele era sicuro che Lenore fosse lì a pochi metri da lui. Poco prima del terremoto si era alzata a bere un bicchier d’acqua. Ciò che non sapeva Daniele e che i pompieri avevano già ritrovato il corpo senza vita di Lenore. Aveva il dito ancora tra le pagine di un piccolo libretto giallo dove  era ancora possibile scorgere queste poche parole

“Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello

tu sei o demonio, per il Cielo che si china su noi,

per il Dio che entrambi adoriamo, dì a quest’anima afflitta

se nell’Eden lontano riavrà quella santa fanciulla,

la rara raggiante fanciulla che gli angeli chiamano Lenore”.

Disse il Corvo: “Mai più”.

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