Daniele Santoro: l’enfasi del male

Da Narcyso

Daniele Santoro, SULLA STRADA PER LEOBSCHÜTZ, La vita felice 2012

Il titolo del libro riprende l’immagine dell’ultimo testo in cui una madre dolorosa e pazza piange il corpo del figlio morto sulla strada per Leobschütz.
Immagine sintetica e forte, come sinteticamente procede tutto il libro, senza sbavature, moraleggiamenti e colpi di coda, nel trattare uno degli argomenti piú intrattabili di tutta la Storia – la shoá per intenderci – perché, senza nulla togliere alla follia degli uomini, peggio ancora quando questa sia avvalorata da sistemi economici trituracarne, resta sempre il dubbio che il Male, ontologicamente percepito, si sia impossessato, nel caso della shoá, dell’immagine rozza della Storia e l’abbia usata per farne un’atroce maschera. Naturalmente con la complicitá dei servi che Gli hanno aperto la porta.
E rimane il rischio, altissimo per una poesia che si addossi il compito di trattare un tale argomento, di essere scavalcata dall’enormità dello stesso racconto, o che non si dia misura, perché sopraffatta dallo stato mentale di spaesamento che ci prende davanti all’ineluttabile.
Daniele Santoro, nel suo libro, compie un’operazione basata sul discernimento responsabile – documentandosi, per esempio, sui casi che rievoca – senza poi rinunciare al gesto lirico quando si rende conto che nessuna documentazione, seppur necessaria, potrá mai spiegare l’enfasi del male: e cioé, non il suo agire solamente, ma l’agire con quell’inutile surpluss valoriale che chiamiamo atrocitá.
Cosí é per esempio, nei grandi poemi in cui, accanto all’incalzare dei fatti raccontati, a volte é necessario fermarsi a guardare, a contemplare, a cantare.
Ma cos’é la contemplazione del Male? Non é, certo, la sospensione del giudizio. É quello stato altissimo dell’essere in cui, per capire, occorre non appartenere piú a nessuno ma solo alla pietas.
Ci sono tre versi che mi interessano particolarmente in questo libro:

É bene che tu faccia un po’ esperienza
della realtá del mondo, di cosa la governa
e di che è veramente fatta l’immanenza

É la risposta ironica di un aguzzino a un intellettuale internato, ma che a me piace ribaltare nella forma dell’agire la realtá per capirla. Perché forse é vero quello che sostiene Boris Pahor nel suo romanzo “Necropoli”: il senso di colpa del superstite é l’unica medicina per non dimenticare le “ossa umiliate”; e siccome tutti noi, dopo l’apertura dei campi, ci siamo trovati nella condizione di superstiti, ecco data la condizione ulteriore di un’umanitá postuma; vivere nello stato della colpa dei salvati.
Si dá, anche, in un altro romanzo sterminato, “L’albergo bianco” di D. Thomas, la lettura dell’olocausto come resoconto di uno struggimento erotico del mondo, di una lotta tra eros e thanatos avvinghiati in un gioco mortale di rimozione.
Mi sono sempre chiesto il perché di questa processione di corpi nudi; il nudo va oltre l’umiliazione, l’ostentazione del potere degli aguzzini. Mentre l’aguzzino ci mette quattro ore a mostrarsi all’appello con la sua linda casacca, per tutto quel tempo i corpi nudi devono subire l’affronto dell’attesa.
C’é, insomma, nell’inspiegabile vicenda di ogni orrore, un sadismo di natura erotica che nega l‘essere attraverso il gesto dell’invasione, dello sconfinamento verso la sua natura piú regale: il  sesso.
Il testo NUDA NON HA REAGITO, mi sembra possa corrispondere al senso dell’altro, SONDERKOMMANDO, per dire che il nazionalsocialismo e tutte le manifestazioni di potere affini, hanno dimostrato che, la connessione strettissima tra eros e tanatos si puó capire solo mediante la pratica di un eccitamento, di un essere fuori misura prima del ritorno allo stato spirituale di quiete in cui anima finalmente abita il suo corpo e non ne permette nessuna profanazione. É la vita a cui l’essere veramente aspira, il depositarsi del fuoco di una fornace primigenia in cui, nell’ indistinto,  bene e male, vita e morte, profanazione e rispetto, si confondono.

Sebastiano Aglieco

*

LEI SI E’ LASCIATA FARE

lei si è lasciata fare, nuda non ha reagito
ma sonagliere d’ossa, senza un grammo
d’occhi, sfinita per la fame, indifferente.

quelli dopo aver fatto, hanno tirato su
le brache e se ne sono andati in ghingheri
ridendo sghignazzando dopotutto
lo sfizio era costato a ognuno una patata.

*

SONDERTKOMMANDO

più calmo fu il pensiero a comparire
che il crepitio dei brividi, l’accartocciarsi
degli arti rinsecchiti, contorcersi di vene
mani senza dita e il ventre a dismisura
crescere, scoppiare ai cinque forni: il fuoco
il fuoco a incenerire le orbite – i vulcani
lucenti della vita

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