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Daria Bignardi al Salone del Libro di Torino

Creato il 18 maggio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Da vedere anche la nostra intervista a Vittorio Sgarbi, l’incontro con Gustavo Zagrebelsky e Gaetano Quagliariello.

Daria Bignardi, Salone del Libro, Torino
L’appuntamento con Daria Bignardi era venerdì 17 marzo, alle 20.30, al Salone del Libro di Torino. Una premessa: Daria Bignardi non è come ci si aspetta un personaggio televisivo, affatto. E infatti è il suo ultimo romanzo, “L’acustica perfetta”, che ha presentato con l’intervento del Professor Giovanni Tesio; il quale dopo uno scambio di battute a proposito di un improprio errore della giornalista riguardo gli appennini, ha dato il via a quella che poi è stata una chiacchierata su molti temi, tutti interconnessi e toccati dal libro.

“Quale orecchio occorre per ascoltare l’acustica della propria vita?”. Da questa domanda parte Tesio e parte anche un po’ il romanzo che, come viene sostenuto, è un percorso lungo due vite, quella di Arno e quella di Sara, che si conoscono e s’innamorano da adolescenti e che si ritrovano da adulti arrivando a sposarsi e ad avere tre figli, quando Sara sparisce. Il protagonista è Arno, un uomo che si trova spiazzato e che dovrà affrontare un cammino doloroso che comporta delle soluzioni che alle volte hanno un prezzo caro da pagare. È la storia di un rapporto coniugale “che fa i conti con la quotidianità e le insidie degli autoinganni” – queste le parole del Professore – che sono propri di Arno, che si culla in un suo mondo che va bene perché evita i dubbi e le problematicità che invece sono proprie di Sara. Ed è proprio lei che, sparendo, sembra voglia guidare il marito in un percorso necessario che lo porterà a fare i conti con la sua individualità.

Tesio poi rivolge quella che è la prima domanda alla Bignardi, e lo fa riprendendo il primo libro dell’autrice, “Non vi lascerò orfani”: il tema della famiglia come dato cruciale, quanto è importante, e perché, la famiglia? Ancora, esiste un nesso tra il romanzo e la vita reale della Bignardi? Lei, mostrando una grande affabilità e acume, riprende la genesi del primo romanzo raccontando come si è trovata a dover fare i conti con la morte della mamma e come questa esperienza l’abbia portata a riversare (o piuttosto a eruttare) la sua storia e quella della sua famiglia in un libro. L’acustica perfetta è invece più “una fiction” in cui certamente i temi le sono cari e vicini, ma la cui trama non è autobiografica. Anzi, essendo il protagonista un uomo, Daria Bignardi ha compiuto due viaggi, nel maschio e del maschio: un viaggio che poi racconta una storia più di formazione che d’amore, una storia d’amore raccontata da un percorso individuale molto mosso, in tensione ed evoluzione.

“Quante e quali sono state le sue passioni di lettrice”, viene chiesto. E viene delineato il tratto di una persona insieme normale ma attenta, che nell’infanzia leggeva compulsivamente qualsiasi cosa, dal Topolino ai classici russi e francesi della madre come Puskin o de Maupassant; il passaggio alla scrittura è stato tardivo anche per il percorso lavorativo, per le difficoltà che era essere un personaggio pubblico. Dopo una domanda sulle poesie, si riallaccia al tema di Campana, che viene più volte citato in L’acustica perfetta, e la Bignardi spiega che il poeta è come un correlativo oggettivo usato per spiegare la depressione di Sara legata soprattutto al problema della creatività senza dover spiegare dilungandosi in parole. Campana è ripreso più volte, nella sua traduttibilità in prosa, nella sua radice sonora, involontariamente nei luoghi propri di Sara che sono propri anche del poeta. Sara ha bisogno di silenzio e di fuga, non dalle responsabilità bensì data dalla necessità di mettere uno spazio tra sé e le cose per comprenderle meglio, ecco così i paesaggi quasi selvaggi, in cui “la natura è quasi un personaggio umano”.

La conclusione è la lettura di due brani del romanzo, da Tesio e dalla Bignardi, in cui vengono esplorate parti nascoste, misteriose e a volte scomode della nostra natura di esseri umani.

Articolo di Miriam Barone.


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