“If I lose you I might
Write a song about some rain on a highway”
Dopo anni passati a suonare punk e rock, in particolare coi Pearls and Brass, Daugh Gibson ha estratto letteralmente dal cilindro il disco d’esordio “All Hell”, una collezione di brevi affreschi tra country, gospel, elettronica e schegge impazzite di reminescenze altre. Daughn Gibson è un crooner al miele, uno che Scott Walker sa chi è e che lo deve aver sognato ad un barbecue a casa di Johnny Cash rimandato per un acquazzone improvviso.
È raro incontrare tre minuti così densi eppur sospesi come quelli di “Rain On A Highway” capaci di accogliere le fatiche del giorno in un ritratto ovattato, nel docile perdersi dei sensi che si ha attraverso la contemplazione d’un finestrino sul sedile passeggeri di un’auto in corsa su un’autostrada non affollata. Alcuni vocalizzi, l’andamento ritmico spossato, sconfitto senza alcuna ambizione di vittoria, mimano il rumore di un tergicristallo che si abbatte stancamente sul vetro anteriore. Ma la pioggia resta, pur con una cornice fortemente atmosferica e una voce subacquea, dolce e ammaliante. E che eleganza compositiva: minimale, ma col culto del dettaglio.
Non si sa dove questo cantautore trovi il modo di render così placida una parentesi cantautoriale in un’epoca di grigiori incontrollati e compulsivamente rivolti verso ossessive denunce del precariato esistenziale degli anni 10′ occidentali (legittime, ma alla lunga monotone nell’umore di fondo). Forse è la consuetudine della pioggia e la conseguente straordinaria attitudine che Gibson mostra nel musicarla.
Elogio della lentezza e della Rêverie, quello stato stuporoso che si ha al risveglio da un lungo sogno che sarebbe pur bello riuscire a conservare per il resto del giorno.
Canzoni come questa, facilitano il compito.