Bocciata la mozione di sfiducia al governo, il Senato martedì prossimo approverà senza grossi problemi la riforma Gelmini. In questi due giorni hanno fatto molto discutere le violenze di Roma, legate in parte alla protesta studentesca e dell'Università. Solo ieri leggevo sul Corriere l'editoriale di Sartori.
C'è sempre la tentazione da parte dei (saggi) vecchi di paragonare la loro gioventù con quella di oggi per ricordare che loro erano migliori. " Sì, i giovani di oggi avranno una vita dura. Ma fu dura anche la vita dei giovani che si trovarono, dopo la fine dell'ultima guerra, con un Paese distrutto e un avvenire che sembrava senza avvenire. Noi, i giovani di allora, ce la siamo cavata " scrive Sartori. "Ma i giovani di oggi che si battono contro la riforma universitaria Gelmini si battono a proprio danno e per il proprio male. "
Non farò l'errore contrario. Ecco, io ho sentito parlare bene della riforma Gelmini da rettori, ordinari (molti di università private), persone che lavorano in università straniere. Può darsi che abbiano ragione, se anche per un luminare come Sartori è una buona cosa.
So però cosa vuol dire per me questa riforma e per i precari, senza baroni alle spalle, che nelle università lavorano: significa che le porte degli Atenei rimarranno chiuse per anni in barba al merito. Chi è dentro è dentro, chi è fuori...
E va bene si dirà, per il bene dell'università in fondo si possono anche calpestare le aspirazioni, le ambizioni e i desideri di una generazione; in fondo il fine giustifica i mezzi. Ma a forza di vedersi messi ai margini, di vedere ignorate tutte le proposte alternative al disegno di legge... Avete fatto caso agli slogan dei manifestanti di queste settimane di protesta? "Se ci prendono il futuro noi prendiamo la città". Se un malessere sociale si fonda al disgusto per la politica che in questi mesi e in questi giorni soprattutto ha dato prova del peggio, è da superficiali puntare il dito sui black blocs e gli estremisti che mettono a ferro e fuoco il centro delle città.
Domani come tutti gli anni inizierà Telethon. Come al solito ci si appella alla generosità degli italiani per finanziare la ricerca al posto delle istituzioni. Le ultime stime OCSE dicono che siamo il terzo paese europeo dopo Danimarca e Svezia per pressione fiscale, ma non abbiamo né il welfare né gli investimenti in ricerca dei due paesi nordici. Siamo a fine 2010 e il ministero dell'Istruzione non ha ancora trasferito all'Università i fondi dell'anno corrente. In compenso arriva il balzello Telethon, certo sono solo 2 euro e non è obbligatorio: ma a Natale non volete farla una buona azione?
La ricerca che dovrebbe essere pubblica, lo sarà sempre di meno perché con la nuova riforma le Università avranno una ridotta capacità di controllo sulle (poche) risorse loro destinate. E ogni anno continueremo a dipendere dalla beneficenza di Natale e dai bravi imbonitori televisivi, come paesi alluvionati o terremotati, sperando che per un attimo la crisi venga dimenticata.