Nel 1997, sempre il governo Prodi svende le azioni Telecom al solito prezzo irrisorio, tanto che subito dopo il valore di mercato aumenta di sei volte. Lo Stato italiano incassa 26.000 miliardi di vecchie lire: la Telecom ne vale assai di più http://www.tesoro.it/ufficio-stampa/comunicati/?idc=124. Presidente di Telecom in quel momento è Guido Rossi, avvocato di De Benedetti. In seguito all’operazione, gli azionisti di punta sono in grado di controllare il 6,6% del capitale ed il maggiore tra questi, Umberto Agnelli (0,6%), nomina un amministratore delegato, Gian Mario Rossignolo, che si rivela un disastro
http://archiviostorico.corriere.it/1998/gennaio/13/Rossignolo_timone_della_Telecom_co_0_9801133556.shtmlche.
Cacciato Rossignolo, con una congrua liquidazione, è chiamato Franco Bernabè. Nel 1998 al governo arriva Massimo D’Alema, nel frattempo l’amico di De Benedetti Roberto Colaninno, attraverso l’Olivetti, inizia la “scalata Telecom”. Ancora una volta si verificano irregolarità finalizzate a mantenere il prezzo basso, ma la Consob, autorità che deve sorvegliare questi reati, all’epoca è presieduta da Luigi Spaventa, altro amico di De Benedetti. Per cui chiude entrambi gli occhi. Colaninno, tramite una serie di società fantasma, arriva a controllare Telecom con appena lo 0,3% delle azioni, tanto che persino il Financial Times definisce la scalata “una rapina in pieno giorno” http://www.rainews24.rai.it/it/news_print.php?newsid=8780. A fine 1999, i rapporti tra Colaninno e De Benedetti cominciano però a deteriorarsi. Colaninno, così, è massacrato da Repubblica, Espresso e dagli altri giornali del “padrone”, oltre che dall’Ingegnere in persona con grande risalto sui media nazionali pure non di sua proprietà
Nel 2001, De Benedetti decide di allearsi a Marco Tronchetti Provera, il quale strappa agevolmente il “dominio” di Telecom a Colaninno, acquistando la quota di controllo in Olivetti. Ma si accorge subito di essere stato raggirato: dalle casse mancano 25.000 miliardi. Telecom Italia è ormai una società con debiti fino al collo, l’unica possibilità di salvarsi è rivendere la baracca allo Stato. Niente paura, ad aprile 2006 torna al governo Romano Prodi, il quale fa il solito accordo sottobanco con Tronchetti Provera e il socio De Benedetti, ma stavolta qualcosa non va per il verso giusto. I due squali alleati, De Benedetti e Tronchetti Provera, litigano su chi deve avere la fetta più grossa, per cui, come al solito, Espresso e Repubblica iniziano ad infangare Tronchetti Provera per mesi. E come se non bastasse il gruppo Espresso lo querela pure
http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&codid=20.0.1986793987&chId=30&artType=Articolo&DocRulesView=Libero .
Prodi deve scegliere da che parte stare e opta ovviamente per il più rassicurante De Benedetti, non volendo fare la fine di tutti gli “sputtanati” da Repubblica ed Espresso. A quel punto Tronchetti Provera per vendicarsi fa pubblicare il progetto segreto di Prodi sul riacquisto della Telecom (il “piano Rovati”) suscitando un’ aperta indignazione, ben presto però insabbiata e messa a tacere in Italia dai giornali di De Benedetti che rispondono prontamente dando ampio risalto allo “scandalo delle intercettazioni”, che come manna dal cielo (ma che strano!) scoppia proprio nel settembre 2006 (Telecom-Sismi, Giuliano Tavaroli, Marco Mancini, Emanuele Cipriani e il suicidio di Adamo Bove). Prodi ha buon gioco nel difendersi inventando la storiella “Non ne sapevo nulla, la colpa è solo del mio collaboratore Rovati” (amico di Prodi da una vita, abitano persino nello stesso palazzo) riscontrando ampio credito da parte dell’accomodante stampa nazionale. http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/09_Settembre/14/rovati.shtml. La stampa estera, cara agli anti-berlusconiani soltanto quando critica Berlusconi, fa a pezzi l’Italia soprattutto perché si stupisce del fatto che non parta alcun procedimento giudiziario. Ci sono semmai le dimissioni del capro espiatorio Angelo Rovati http://www.wallstreetitalia.com/article/407661/telecom-rovati-dopo-dimissioni-potro-spiegare-mie-ragioni.aspx che però una volta calmatesi le acque tornerà all’ovile, diventando nel 2007 nientemeno che uno dei 45 membri del Comitato nazionale di promozione del Partito Democratico.
Come è andata finire si sa: Tronchetti Provera, ormai inimicatosi governo e De Benedetti, si dimette
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2006/09_Settembre/15/tronchetti.shtml ed alla guida di Telecom torna Guido Rossi, fedele amico di De Benedetti, celebrato anche da interviste accomodanti su Repubblica tipo questa
http://www.repubblica.it/2007/04/sezioni/economia/telecom2/rossi-telecom/rossi-telecom.html.
Inutile parlare pure di Telekom Serbia e dello scandalo Seat-Otto (la “Otto”, società di Dario Cossutta, figlio del comunista Armando), si andrebbe fuori tema. Ci sarà tempo in articoli successivi sul blog.
Attenzione, un tentativo di alleanza Prodi-De Benedetti è stato abbozzato pure per Alitalia. A gennaio 2007 il governo Prodi avrebbe dovuto dare il via alla vendita della compagnia aerea. Tra i concorrenti, una cordata formata da De Benedetti (poteva mancare?) e la banca Goldman Sachs, protagonista cruciale di quasi tutte le privatizzazioni italiane (qualcuno ricorda la vicenda del panfilo Britannia?)
Prodi ha lavorato per anni alla Goldman Sachs, la quale lo ha sempre ricoperto d’oro per le sue preziosissime “consulenze”. Alla Goldman hanno lavorato quasi tutti gli amici e i collaboratori di Prodi, ad esempio Mario Draghi (ex vicedirettore della Goldman, poi governatore della Banca d’Italia) e Mario Monti. Claudio Costamagna, presidente della Goldman Sachs fino a febbraio 2006, è colui che ha pagato buona parte della campagna elettorale di Prodi per le elezioni dello stesso anno. Ma se lo definiscono “prodiano” si arrabbia pure http://blog.panorama.it/italia/2007/06/21/costamagna-basta-con-questa-storia-di-essere-considerato-un-prodiano/. Sempre in Goldman Sachs, è stato direttore Massimo Tononi, poi diventato sottosegretario all’economia di Prodi. L’intero vertice Goldman Sachs, in pratica, in quel momento è al governo. Le cose però vanno per le lunghe, De Benedetti pian piano si ritira
http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/economia/alitalia7/alitalia-m-c/alitalia-m-c.html e l’ennesima svendita con vendita successiva a prezzo superiore (alla Air France?) non riesce.
La storia sta continuando a Milano, dove Giuliano Pisapia ha recentemente vinto le ultime elezioni amministrative. Pisapia è stato avvocato di parte civile della Cir, il gruppo di Carlo De Benedetti, durante il processo Sme ed è tuttora avvocato della famiglia De Benedetti. Marco De Benedetti, figlio di Carlo, è invece amministratore delegato del gruppo Carlyle Italia, società di private equity che si occupa di acquistare aziende ed enti pubblici a prezzi di saldo per poi rivendere sul mercato a cifre notevolmente più alte. A Milano, il gruppo Carlyle ha già concluso proficui investimenti: due immobili commerciali in via Della Chiusa e due edifici al civico 184 di via Gallarate. Con Pisapia sindaco, la scusa della crisi e la conseguente “necessità di svendere patrimoni pubblici”, chissà se Carlyle Italia farà altri affari nel capoluogo lombardo. Non si accettano scommesse.
Dunque, perché stupirsi se De Benedetti è ben visto dalla procura di Milano, che certo non disdegna la sinistra?
Questa è la sinistra italiana