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DEATH RACE (2008) di Paul W. S. Anderson

Creato il 29 novembre 2008 da Close2me
DEATH RACE (2008) di Paul W. S. AndersonAnderson, per chi ha visto lungo fin dal Mortal Kombat nel lontano 1995, è sostanzialmente un autore che il cinema "vero" (quello di Carpenter, Romero, Yuzna, Hill…) l’ha vissuto, amato e soprattutto assimilato alla perfezione, comprendedone tutti i meccanismi che ne hanno decretato il successo di pubblico nonché di critica.
"Stati Uniti, 2012. Jensen Ames è un ex carcerato che vorrebbe rimanere fuori dal giro con un lavoro onesto, una moglie comprensiva e una bambina nata dalla loro unione. I tempi sono difficili, la crisi finanziaria in cui versa il paese crea tensioni e affama i cittadini che trovano negli sport estremi una via di fuga agli affanni quotidiani. Dopo essere stato licenziato e aver ritirato l’ultimo stipendio, Jensen torna a casa dove viene aggredito e abbattuto con un narcotico. Al risveglio stringe un coltello al fianco della moglie ferita a morte. Arrestato e innocente, viene condotto a Terminal Island, un penitenziario di massima sicurezza in mezzo all’oceano. Ingaggiato dall’algida direttrice Warden Hennessey, disputerà una gara di automobili tecnicamente modificate e armate di mitraglie e lanciafiamme." (Mymovies.it)
Con il beneplacito di Roger Corman – già produttore dell’originale Death Race 2000 (in Italia uscito col titolo Anno 2000, la corsa della morte) – il talentuoso regista Inglese riscrive totalmente la sceneggiatura del capostipite, stravolgendone la divertita forma camp (troppo legata allo spirito del periodo) ed indirizzandola fin dal prologo verso tematiche più contemporanee ed impellenti.
Si potrebbe considerare l’assunto della vicenda come una sinossi, preoccupante, degli eccessi di una società alla deriva definitiva: i media spettacolarizzano la morte con la complicità un sistema giudizario marcio, la crisi occupazionale è invece solo l’apice di una società post-industriale priva di regole.
Ne L’alba dei morti viventi Zack Snyder giustificò l’epidemia con un breve videoclip dove guerre religiose si confondono a nuovi virus sconosciuti. In 28 giorni dopo e nel recente Doomsday, è la ricerca scientifica, connivente col potere governativo, a firmarsi autrice dell’apocalisse umana. Anderson invece "strumentalizza" la natura action del progetto per tornare ad una violenza puramente amorale, imputabile quindi solo all’uomo, non più ascrivibile a cause contingenti, inspiegabili o non identificabili.
La corsa al massacro, il mito immortale dell’eroe Frankenstein (forse unico trait d’union col film del 1973), la giustizia manichea, il nichilismo assoluto sono tutti elementi riconducibili a scelte protrattie nel tempo in un humus sociale semplicemente sbagliato. Il pubblico sarà mai inquadrato (soluzione geniale) ma lo share degli ascolti ci garantisce che lo spettacolo funziona eccome, che non importa proprio nulla se gareggia un innocente o un colpevole.
Anderson firma in conclusione un capolavoro travestito da blockbuster che, prevedibilmente, non incasserà affatto ma scalderà gli animi e delizierà gli occhi di chi crede ancora al cinema "vero", come quello di Carpenter, Romero… 
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