-Di Monica Grigolo
1° maggio, festa del lavoro e di ritorno dal ponte, tornando a casa si contano i supermercati e i centri commerciali aperti nel giorno dedicato a chi quotidianamente cerca di sbarcare il lunario, chi non ha questo problema festeggia tutto l’anno. Un esercizio commerciali di grandi dimensioni su tre è chiuso, la maggioranza sceglie le porte aperte per soddisfare le esigenze commerciali di chi decide di dedicarsi allo shopping quando potrebbe dedicarsi alla famiglia o, malgrado la pioggia, a una lunga passeggiata a smaltire i chili accumulati nel corso dell’inverno. Invece no, si deve alzare il PIL. Strano questo PIL, pare sia pigro durante la settimana lavorativa e si svegli solo nei dì di festa. C’è un breve trattato di Serge Latouche il cui titolo è sufficientemente esplicativo: “DePILiamoci”, senza rasoio, ça va sans dire.
Si può iniziare con poco, dalla spese alla spina pensando ai consumi necessari effettivi all’acquisto con i GAS (gruppi d’acquisto solidale), imparare a fare da sé alcuni prodotti che non necessitino di attrezzature scientifiche da laboratorio allo scambio di ciò che non serve più e che invece potrebbe essere utile ad altri. Di seguito il Decalogo del Movimento per la Decrescita Felice, si può sottoscrivere e condividere pienamente o criticare e stroncare in toto o in parte ma sarebbe una cosa positiva facesse riflettere, perché fermarsi a pensare e porsi qualche dubbio è il primo passo se non per la decrescita esteriore sicuramente per la crescita interiore, senza la quale la terra tornerebbe in tempi di oscurantismo anziché verso un nuovo Rinascimento.
1.Accorciare le distanze tra produzione e consumo, sia in termini fisici che umani.
Ricollocare il più possibile l’economia nel territorio in cui si vive, chiedersi quanta strada ha fatto ciò che si sta consumando e chi lo ha prodotto, fare acquisti direttamente dal produttore e faer parte di un GAS per minimizzare i chilometri percorsi dai beni tra produzione e consumo, stabilendo anche rapporti umani di amicizia e fiducia con chi produce.
2.Riscoprire il ciclo delle stagioni e il rapporto con la terra.
Trovare il tempo per interrogarsi sulle qualità di ciò che si sta consumando e quale potrebbe essere l’alternativa più ecologica e salutare per soddisfare gli stessi bisogni.
Confrontare i propri ritmi con quelli della Natura, rallentare invece di accelerare, aspettare la stagione giusta per assaporare i frutti della terra nel momento in cui sono più saporiti e nutrienti.
3.Ridefinire il proprio rapporto con beni e merci.
Sostituire il più possibile le merci con beni autoprodotti o scambiati all’interno di relazioni non mercantili, riportando alle sue dimensioni fisiologiche. Qualche esempio di sutoproduzione: yogurt, pane, dolci, liquori, ortaggi, conserve, sapone…
4.Ricostruire le interazioni sociali attraverso la logica del dono.
Creare momenti comunitari di scambio di beni autoprodotti utilizzando la logica del dono, facendo attenzione a non cadere nella logica del baratto: il baratto è il precursore della moneta e quindi degli scambi
mercantili. Donare la propria esperienza e il proprio sapere agli altri, il proprio tempo e il proprio sapere aiuta a rendere consapevoli che c’è anche l’obbligo a restituire quanto si è ricevuto.
5.Fare comunità.
Consolidare nel tempo le relazioni umane non mediate dal denaro e creare periodicamente le occasioni per fare in modo che le relazioni umane generate dall’economia del dono diventino il più possibile stabili nel tempo.
6.Allungare la vita alle cose, rifiutando la logica dell’ultimo modello.
Adottare uno stile di vita che poggi sulle quattro “R”: riduzione, riuso, recupero e riciclaggio (non di denaro sporco, ndr;)) e impegnarsi a diffonderlo il più possibile, trattando le merci per quello che sono: un mezzo e non un fine.
7.Ripensare l’innovazione tecnologica.
Adottare tecnologie che riducano il consumo di risorse naturali preferendo l’innovazione volta al risparmio invece che quella rivolta all’incremento dei consumi, interagendo con le imprese che aderiscono al MDF e propongono prodotti o servizi capaci di ridurre i nostri consumi.
8.Esserci pesando il meno possibile sull’ambiente come forma di massimo rispetto per noi stessi e le generazioni future.
Ridurre il più possibile la propria impronta ecologica, facendo le stesse cose con meno cose ed evitando di fare ciò che non è strettamente necessario per il proprio benessere e per quello degli altri.
Ridurre l’impiego di mezzi di locomozione propri laddove possono essere sostituiti da mezzi pubblici o mezzi meno inquinanti, adottare e diffondere forme di trasporto condivise come il car sharing i il car pooling. Produrre e attuare un modello alternativo alle grandi centrali e al trasporto dell’energia su lunghe distanze, basato sulla produzione su piccola scala per l’autoconsumo e la vendita alla rete per l’eccedenza.
9.Ridefinire il proprio rapporto con il lavoro.
Ridefinire il lavoro salariato come mezzo per soddisfare parte dei propri bisogni e non come fine della propria esistenza. Concepire il lavoro in generale come strumento per l’affermazione della dignità umana ma non come l’unica modalità di espressione della medesima, sperimentare stili di vita capaci di ridurre i consumi inutili e dannosi come presupposto per ridurre il temp dedicato al lavoro salariato necessario per pagarli.
10.Diffondere i principi del Movimento per la Decrescita Felice in ambito politico.
Anche senza partecipare direttamente a competizioni elettorali o alla vita dipartiti politici, trovare le strade per fare giungere le idee e le proposte del MDF a chi ha il compito di governare il territorio in cui si vive.
Fare quella che si dice “la vita politica partendo dal basso”, dagli ambiti più vicini alla vita e ai problemi delle persone, organizzare incontri pubblici coinvolgendo i propri concittadini in battaglie specifiche evitando –sia ben chiaro- ogni tentativo di strumentalizzazione delle idee e delle proposte del MDF a fini elettorali.
http://decrescitafelice.it/
La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione. La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ri-collochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio.
Maurizio Pallante