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Deduzione e induzione nella scienza medica: vaccinazioni e Fluad.

Creato il 02 gennaio 2015 da Lostilelibero

Pensieri rasoterra:


Come ogni anno, da qualche tempo a questa parte, scoppia puntualmente il caso sulle vaccinazioni antinfluenzali. Questa volta sono due le tipologie di vaccini, il Fluad e l’Agrippal della Novartis, sospettati di aver provocato la morte di circa una ventina di persone (perlopiù anziani). Per fortuna, la nota tempestività con cui la medicina si serve della cura dei suoi pazienti, ha escluso la colpevolezza di quei prodotti, troppo frettolosamente incriminati per i decessi (o forse solo per compiacere gli enormi interessi delle lobby farmaceutiche, perché in fondo, per dirla con Franklin: “il tempo è denaro”). E così, in una schizofrenica rincorsa per smorzare gli allarmismi, Il Comitato per la farmacovigilanza dell'Agenzia Europea per il Farmaco (Ema), su segnalazione dell’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa), ha infatti scongiurato qualsiasi correlazione tra le morti e i vaccini, aggiungendo che “non vi è stata contaminazione da microrganismi”. 
induzione Detto alla spicciolata: le dosi di vaccino controllate non sono avariate! Non è dato invece di sapere, le analisi non contemplano tali “variabili”, se qualche sua componente sia, in qualche modo, dannosa per la salute o per l’essere umano (il classico gioco delle tre carte in salsa scientifica: tutto ciò che non è codificato dai protocolli, e dagli schemi aprioristici, non esiste. Dalle mie parti, ad esempio, trafficando coi registri parrocchiali, si scopre che tra le cause di decesso più comuni del XIX secolo, vi era quella per annegamento. E questo, non per merito delle scarse qualità natatorie dei nostri avi, ma perché non esistevano categorie codificate in cui inserire le “morti sospette”. Se le tipologie con cui si “archiviano” i decessi non contemplano quindi alcune “particolari” cause di morte, quelle cause, semplice-mente, non esistono!). Ma che importa se non si sono fatte le cose per il bene della verità, l’importante è che esse, anzitutto, siano corrette, giuste, che tornino, insomma. In fondo, il dato scientifico è “dato”, è quella roba lì, fisso ed immutabile, “participio passato”, non vero. E con la consueta logica della modernità si è fatto, oggi, persino legge assoluta, universale. Il reale però, a differenza della rassicurante certezza scientifica, va invece interpretato, implica uno sforzo di comprensione che la rarefatta oggettività non richiede. Eppure, per palesare la malafede della medicina “scientifica”, non è necessario disquisire sui massimi sistemi, basta semplicemente osservare a come “studi” invece i morti per influenza nella loro totalità. Con la stessa nonchalance con cui ha dedotto la non colpevolezza dei vaccini targati Novartis, bolla, sbrigativamente, come morti per influenza anche coloro che magari già soffrivano di una patologia debilitante. Mescolano tutto, piegando il reale al servizio del dato, e lo fanno solo per far tornare, infine, i conti dei loro arbitrari funambolismi logici. La medicina, in tal senso, pare brancolare indisciplinatamente nel buio: scagiona i vaccini Novartis attraverso il metodo deduttivo (da una legge generale ai casi particolari), mentre si comporta induttivamente quando è ora di analizzare i morti per influenza (dal caso specifico, particolare, alla legge universale). A nessuno, nel marasma dei metodi “scientifici” adottati, viene il dubbio che, magari, la soggettiva volontà di colui che cerca, influenzi poi, arbitrariamente, anche il trovato? In fondo il ricercatore, lo scienziato di ogni risma, vuole anzitutto trovare. Forse è vero, la scienza è semplice, come la verità di Newton, e proprio per questo funziona, ottiene talvolta risultati, piace. Sarà quindi anche vera, ma non è reale. E quando ottiene risultati, seppur di vitale importanza, sembra farlo accidentalmente, per caso. Che si limiti, almeno, come la hybris vincolava l’agire dei greci antichi, a salvare vite, a fare del bene (sempre che si possa operare il bene fortuitamente, senza volerlo, a-moralmente), senza avere anche la spocchia e la protervia di possedere la “ragione” di ciò che fa.

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