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Del perchè a volte è meglio non fare domande

Creato il 07 marzo 2013 da Unarosaverde

La osserva seguire con concentrazione dissimulata gli esercizi riabilitativi. Viene tutti i giorni, si ferma per ore, è controllata, incoraggiata, corretta, a volte filmata ma in modo molto discreto e non troppo diverso da quello in cui vengono seguiti gli altri pazienti. E’ vestita in modo dimesso, calzoncini neri, maglietta scura, una felpa larga. E’ minuta, non muscolosa, ma compatta. Da un lato all’altro della fila dei macchinari o dei lettini di massaggio a volte scambiano quattro parole. E’ giovane,  spesso in compagnia di un altro ragazzino infortunato che sta seguendo il suo stesso protocollo e, le ha raccontato, è uno sciatore professionista. Le è venuta una certa curiosità, dopo qualche settimana,  di sapere se anche la ragazzina scia e allora glielo ha chiesto: “Ma scii anche tu?”. “Sono in nazionale”, le ha risposto.

Non è successo ma proprio per un pelo. Per puro caso stavolta ho tenuto la bocca chiusa.

Ho chiesto al fisioterapista che mi ha detto chi è  e ho pensato che l’avevo vista in televisione e in fotografia, sui giornali. Sarebbe stato un po’ imbarazzante, non averla riconosciuta. Ogni tanto la guardo mentre fa benissimo i suoi esercizi e combatte il dolore a bocca chiusa mentre io tribulo con i miei e mi lamento e le invidio il controllo perfetto dei movimenti.

Mi chiedo come si stia a fare dello sport la propria occupazione principale, ore e ore al giorno, fin da piccoli e cosa comporti, dopo un infortunio, ricominciare, nonostante il dolore. E poi penso che, mentre lei sciava e scia e scierà io studiavo e studiavo e studiavo, e studio ancora, per anni e da anni e mi chiedo se ne sia valsa la pena.

E poi non penso più perché non so quale sia tra queste la scelta migliore perché la mia mi ha portato di nuovo ad un punto morto e la sua deve ancora dare i suoi frutti, tra una caduta e un successo.


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