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deliri di uno straniero.

Creato il 23 settembre 2010 da Ducdauge @ducdauge

"Il luogo ideale per me è quello in cui è più naturale vivere da straniero" scriveva Italo Calvino. E stranieri lo siamo in effetti un po’ tutti, chi più chi meno, anche a casa, per citare un luogo ideale qualsiasi. “Ma i luoghi ideali non esistono?!” obietterà qualcuno. E credo che non abbia poi così torto. Ma dobbiamo pur preoccuparci di trovarne uno – almeno uno – che possiamo portarci dentro sempre. Soprattutto quando ne siamo lontani.

Lontano…che splendido aggettivo! Lo diceva anche Leopardi, che lo inseriva nella lista di “quegli aggettivi molto poetici”. Perché basta allontanarti un poco per guardare un luogo, una situazione con quella melanconia mista a poesia.

In realtà volevo parlare di casa, e anche di teatro. Ma sì, anche di poesia. O meglio: volevo parlare del teatro di casa mia, e non so se sono riuscito a spiegarmi. I benpensanti avranno immaginato, ne sono certo, al signor Teatro, quello con la T maiuscola, dove si rappresentano (o si fanno vivere) “i sogni, la preghiera, la musica e tutto l’infinito che è negli uomini” – per citare uno a caso, Pirandello, proprio perché in fondo centra anche lui. Altri hanno pensato ai teatrini di piazza, a tutti quei personaggi che nella loro follia si presentano come caratteristici di un mondo a volte paradossale. Teatro, sì, teatro anche questo, anche se il sipario che scandisce il tempo non è uguale per tutti i personaggi. Perché dietro ad ogni personaggio si nasconde una persona reale, che non può tirarsi indietro dalle fatiche della vita come e quando vuole. Volevo parlare insomma di teatro e di casa. Un po’ come se parlando di teatro potessi sentirmi a casa. Ma non di quel teatro lì, quello nella mia città, quella scorza vuota, vuota di tutto: di veri teatranti e di vero teatro, una forma senza alcun contenuto vero.

Come?! In teatro è impossibile parlare del “vero”? E allora in teatro di cosa si dovrebbe parlare?! Di qualcosa di “finto”?! Come potreste credere a un qualcosa di irreale? Solo quando si ha paura della verità si plaude la finzione. E voi tutti che applaudite sempre-lo-stesso-spettacolino fingete che tutto vada bene. E tutto va bene, soprattutto quando ci intratteniamo con la stessa monotonia di cui facciamo parte, rendendocene pure conto e senza protestare.

Non basta, per essere artisti, fare uno più uno e ottenere sempre lo stesso risultato (scadente)! La poesia – la Poesia! – non può essere solo una questione di numeri e di proporzioni, e non ha bisogno di lucidità: questa lasciamola alla vita quotidiana. La poesia non può essere “normale”, così come normale non può essere il teatro, specchio della vita – che poi tanto normale non lo è neppure lei.

Un teatro normale. Un teatro normale che pretende di uscire dalla piazza per poter entrare in un teatro vero, rischiando di apparire ridondante e stupido.

Casa, teatro, poesia, vita. Tutte cose anormali che in un teatrino finto si trasformano in pure, semplici e normali banalità.

Questo, per me, è un buon motivo per sentirmi un po’ straniero a casa, e guardare con occhi strani quel teatrino di piazza, quel luogo ideale che da lontano appare sicuramente meglio di quello che è.



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