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Un esordio segnato dalla produzione di uno dei più grandi artigiani del cinema di genere italiano, Aristide Massaccessi in arte Joe D’Amato che – molto prima di Argento che produrrà i futuri La Chiesa (1989) e La Setta (1991) – intuirà le interessanti potenzialità creative del giovane, formatosi dopo una lunga gavetta di attore e assistente alla regia.
"Horror music è lo spettacolo che una compagnia teatrale chiusa in un hangar sta provando da giorni. Il problema è che il maniaco cui il musical è ispirato è appena evaso dall’ospedale nel quale era ricoverato e, guarda caso, finisce proprio per intrufolarsi tra gli attori della sua stessa storia. Fatalmente inizia un metodico e sanguinario conto alla rovescia con il maniaco omicida che, coperto da una maschera che raffigura un barbagianni, sfoggia tutto il suo perverso piacere nell’infliggere la morte, aiutandosi con un’ascia." (Cinemahorror.it)
Il titolo originale doveva essere Aquarius - certo più suggestivo ed evocativo di quello definitivo – ma il facile richiamo alle atmosfere argentiano ha decretato purtroppo la scelta derivativa. Tralasciando tuttavia le curiosità l’opera, apparentemente non gravata dalle ristrettezze di budget imposte dalla Filmirage, palesa uno stile ed una messa in scena innegabilmente matura, professionale e ben definita: il modello predominante è il cinema slasher americano, eppure le influenze di tanto cinema horror nostrano del passato sembrano rivivere senza contraddizioni.
Persino la direzione degli attori è, considerando i precedenti nel genere, più che dignitosa: Brandon e Lombardo Radice (sotto lo pseudonimo John Morghen) danno il massimo dimostrandosi davvero in parte; la protagonista Barbara Cupisti funziona a dovere, merito soprattutto di un volto e di occhi difficili da dimenticare (non a caso la rivedremo subito in Opera di Argento).
Soavi dopo questo esordio sconvolgente e una serie di titoli horror riusciti – non ultimo l’incompreso Dellamorte Dellamore (1994) – com’è noto cederà irrimediabilmente alle tentazioni della fiction televisiva. E’ l’inizio di un lento ed inesorabile declino artistico, illuminato solo dal breve ritorno cinematografico (stavolta in chiave noir) di Arrivederci amore, ciao (2006).
I tempi delle visionarie provocazioni sono lontanissimi, ma auspicare un "divorzio" con la produzione televisiva è ancora lecito, considerando la miserabile deriva qualitativa cui versa da anni la tv italiana.
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