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Ogni volta che mettevo in ordine la mia camera, l'occhio mi cadeva su quei 5 o 6 mattoni timbrati Fedor Dostoevskij e una sconfinata sensazione di fallimento e desolazione mi investiva con la stessa potenza di un tir Iveco sulla Roma-Milano il mercoledì all'ora di pranzo. Poi, un giorno di ridente scoglionamento, quando mi resi finalmente conto che il male dell'Occidente non è il terrorismo islamico ma i bambini obesi, che odio, mi dissi che era giunto il momento di prendere in mano uno di quei tomi, ormai accuratamente nascosti dietro Pirandello. Mi dissi che quello era lo stato d'animo adatto, quel tedium vitae leopardiano misto all'irrefrenabile desiderio di azzerare l'umanità sapendo essere l'unica possibilità di rendermi una persona tollerante, supponendone però l'impossibilità realizzativa. Fu così che nel giro di una settimana avevo quasi finito di leggere Delitto e Castigo.
Non c'ho proprio un cazzo da fà nella vita, penserete: ebbene, no, è che sono veloce nella lettura, ma soprattutto Delitto e Castigo non riuscivo a chiuderlo nemmeno per mangiare, tantomeno per dormire (beh, concedetemi st'iperbole concettuale), figuriamoci durante l'espletamento delle funzioni fisiologiche, dove, l'uso degli arti (almeno nel mio caso, poi non so voi) è finalizzato solo allo srotolamento della carta igenica.
Delitto e Castigo è uno di quei libri in grado di sovvertire schemi e punti di vista, ti inginocchia, ti guida. E' la storia di due atroci delitti, delle deboli giustificazioni addotte; è la storia di un peso intollerabile da portare, di un'espiazione dolorosa, lenta, lentissima; ma è anche la storia di una rinascita. Delitto e Castigo è dubbioso, è cupo, è madido di teismi e colpe: russo fino al midollo. Sono 700 pagine grigie, ma vive di febbrile follia, nevrotiche, puzzolenti e afose. Gli ultimi due capitoli dovrebbero essere letti nelle scuole, nelle chiese, in televisione: sono il manifesto di un'impressionante capacità analitica della natura umana. Unica. Raskolnikov è vivo, il suo "primo passo", il suo dolore e la scoperta di poter rinascere nell'amore di un'altra disagiata sociale, sono reali in ogni parola scritta. Non è solo grande capacità narrativa, Raskolnikov è l'antropoformizzazione dell'insofferenza di Dostoevskij, il quale è presente in ogni pagina, non solo perchè il libro lo ha scritto lui, ma perchè è la sua vita, è la sua condanna che ci regala.
Mi prendo un pausa da Dostoevskij, ma non da questa idea di uomo perchè sono così annoiata da questi eroi da sagra paesana, sono così stufa di applaudire questi leaders da palcoscenico, la massificazione manzoniana è un male inestirpabile, e lo so che non c'entra nulla, ma credo che Raskolnikov/Dostoevskij sia un antidoto perfetto alla lobotomizzazione da salotto. B.
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