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Della Mondadori, di numeri e della women fiction

Creato il 31 ottobre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Stefania Auci Cari lettori C’era una volta il marketing. E c’è ancora, soltanto che adesso si chiama marketing selvaggio. Ci sono quattro tipologie secondo gli studiosi del settore. La prima, quella del wild cat, ossia il caso editoriale improvviso, la novità che nessuno si aspetta; la star, cioè il must have, il libro di cui tutti parlano e che tutti devono avere; la cash cow, la mucca per far soldi; infine il dog, l’autore che è stato sovraesposto e che fa flop. Ne abbiamo visti tanti di casi di questo tipo. Così come abbiamo notato che, sempre più spesso, le prime tre sono compresse tutte in un’unica macro categoria in cui l’autore viene spolpato come un osso da un branco di piranha.  

Un esempio. Uno solo, che abbiamo sotto gli occhi da mesi. La famigerata Grigia Trilogia della James. La Mondadori, il cui bilancio nel primo semestre del 2012 presentava un bel -67%, ha spremuto la mucca (ammanettata e consenziente) che le ha permesso di rifiatare. Certo, non è stato abbastanza, visto che si è deciso di chiudere riviste considerate rami secchi come la Focus, o di cambiare distributore per le edicole, tagliando moltissimo sulla distribuzione dei prodotti. O esternalizzando editing e traduzioni, o licenziando personale che lavora da anni all’interno dell’azienda. Ma tant’è. E' il mercato.  La responsabile della narrativa Mondadori, Laura Donnini, ha rilasciato alcuni giorni fa un’intervista in cui si comprende come sia cambiato, e quanto, l’atteggiamento della casa editrice nei confronti dei lettori. Anzi, delle lettrici, che non son più tali ma sono Addicted, secondo la sua esperienza maturata alla Harlequin (una nota a margine: la Harlequin pubblica romanzi che vengono ascritti alla categoria merceologica di periodici. Mai sentito parlare di abbonamenti?). 

Della Mondadori, di numeri e della women fiction*Piccola, insignificante considerazione a margine. Addiction indica una dipendenza, anche di natura tossicologica, da parte di una persona a un prodotto/droga e l’addicted consuma qualunque cosa gli dia dipendenza, senza guardare alla qualità, sia esso eroina tagliata con il gesso o un mum porn con le monache e un frate ottantenne con la sciatalgia e una casalinga in cerca di ristoro psicologico.*

Già questa considerazione da parte di una responsabile del settore narrativa dovrebbe far riflettere. Nel caso di specie, le lettrici italiane sono considerate addicted al porno soft introdotto dalla Mondadori in Italia. E, ci tiene a precisarlo la Donnini, c’è tutta una squadra di autrici italiane e straniere messe lì a scrivere per sollazzare i più oscuri e inconfessabili desideri sessuali delle fanciulle (e non) del Bel Paese. 

Ora. Passiamo sopra il fatto che gli autori e le autrici scrivano sempre più su commissione. Fa parte del gioco del mercato e non tutti possono permettersi di cambiare genere in scioltezza. Passiamo sopra le valutazioni sul fatto che il livello della letteratura deve abbassarsi per diventare più pop (dopo di che i Teletubbies in confronto ci sembreranno Tolstoij e Spongebob sarà il genio del surrealismo). Ciò che trovo davvero discutibile – o offensivo, IMHO – è l’idea, anzi, la convinzione assoluta e incrollabile che le lettrici di women fiction vadano disperatamente ed esclusivamente alla ricerca del mum porn. Che accantoneranno collane, profumi, dolcetti e simili per dedicarsi all’esclusiva lettura di manette e reggicalze. Ovviamente, il volume in questione sarà acquistato assieme a un libro di ricette per prendere l’uomo per la gola. Mica vorrete farvi frustare a pancia vuota?

Forse – spero di non peccare di ottimismo – le lettrici italiane sono un po’ più… intelligenti? Diversificate? Sì. Perché le lettrici italiane leggono gli Harmony e Terzani, comprano la Cole e McEwan. Le lettrici, nella stragrande maggioranza dei casi,  hanno una testa funzionante. Pensano. Parlano. Leggono. E, guarda caso, sono l’unica fetta del mercato che tiene, sia pure con molte difficoltà. 


La scrittura al femminile è la gallina dalle uova d’oro, in questo momento di crisi. Le donne (e le loro figlie) sono coloro che comprano perché, tutto sommato, il libro a un prezzo basso consente quell’evasione, quel relax che è sempre più difficile trovare. Imbrogliarle, barare offrendo loro prodotti sempre più simili a se stessi diventerà difficile. La crisi economica che attanaglia il nostro paese sta picchiando duro e adesso non ci sono più risorse per comprare volumi di dubbia qualità. Non siamo più ai tempi di Twilight, quando ogni casa editrice cercava di piazzare la sua saga Y. A. (clonata o quasi) per tentare di replicare il successo ottenuto dalla Fazi e ci riusciva pure con un discreto successoLa lettrice italiana si informa. Comprende, sceglie. Commenta sul web. Soprattutto, la lettrice non ha più le stesse risorse economiche di cinque anni fa. Anche la digitalizzazione portata avanti dalla Mondadori e sbandierata dall’ufficio marketing per adesso si sostanzia unicamente nella distribuzione del Kobo con tre e-book omaggio… salvo tacere poi che il costo medio di un e-book Mondadori rimane invariato (verso l’alto). 

Della Mondadori, di numeri e della women fiction
Ciò che si nota dall’intervista a Laura Donnini (che potete leggere integralmente qui) è che la narrativa ha sempre meno a che fare con la cultura e sempre più con il marketing. Unica area in cui l’holding in questione sembra voler “valorizzare” ancora la cultura e la letteratura è quella della Einaudi, il marchio “alto” del gruppo. Per il resto, sempre più spesso la narrativa, soprattutto quella femminile, è considerata dalla Mondadori come un terreno di pascolo per le famose cash cow. Bello. Facile. 

Lamenti ed alti lai di una tradizionalista con le mutande di ferro e la libido di una zitella ottantenne, potreste dire voi nel leggere questo post. Eh, no. Non è così. Ciò che la Donnini non dice è lo iato tra i numeri di vendita del primo volume della trilogia rispetto al secondo o al terzo, legato molto probabilmente all'inconsistenza dei due sequel (sarà per questo che li hanno sparati in fretta nel giro di venti giorni? Non ci raccontino la panzana che dovevano rispettare la volontà delle consumatrici impazienti e in fregola che volevano leggere la conclusione della saga. E' un insulto alle lettrici che aspettano anni per riuscire a leggere la conclusione di una serie).  Ciò che si tace nell’intervista è lo spostamento o meglio, la perdita di lettori di fascia media che rivolgono la loro attenzione e il loro tempo libero ad altri intrattenimenti quali, ad esempio, facebook o le serie televisive. Ciò che dovrebbe far indignare il lettore non è più – o non solo – la consapevolezza di esser giudicato come un essere incompetente cui si può somministrare qualunque prodotto. Dovrebbe essere il fatto che alcuni esponenti di case editrici fanno questo considerando i lettori come una massa di tossicodipendenti. E quest’atteggiamento è ancora più forte nei confronti delle lettrici. Che una donna voglia leggere le sfumature multicolor della signora James è lecito e giusto. Suo il tempo, suoi i soldi. Ma dà molto da pensare, molto di più, che ci sia qualcuno, ai piani alti di Segrate che considera le lettrici come un branco di sessuomani  semianalfabete e manipolabili, incapaci di cogliere le differenze tra un buon libro e un testo trash. E che lo faccia con un sorrisetto di scherno.

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