Spesso la depressione sembra essere causata dalla fine di un amore.
In realtà la fine di una relazione sentimentale è solo il fiammifero che riaccende ed infiamma qualcosa di già vissuto e sofferto, qualcosa che fino ad allora era stato sepolto,”dimenticato”.
Se questa ferita sopita, solo addormentata, relativa a un’antica e dolorosa perdita non elaborata, risalente all’infanzia o all’adolescenza, non c’è, non è accaduta, la delusione amorosa non evolverà in una depressione patologica, ma ci sarà unicamente il tempo del lutto e del dolore nel corso del quale la perdita della persona amata e di tutto ciò che ne consegue sarà elaborata ed assimilata, e poi si ritornerà alla luce della vita.
Vediamo più da vicino che cosa succede quando un amore finisce solo per uno che se ne va, mentre l’altro, rimasto solo, continua ad amare.
Il primo vissuto è un vissuto di deprivazione,di mancanza, scompare la nostra sicurezza affettiva, la “casa” a cui tornare, scompare ciò che dava senso ed equilibrio alla nostra vita, e si sprofonda nel vuoto.
Con la persona amata se ne vanno anche pezzi, parti di noi, quelle parti che la presenza dell’altro riempiva ed appagava, non ci sono più, se ne vanno con lui/lei.
La prima osservazione da fare è che nel vissuto dell’abbandono non c’è solo la perdita di chi amiamo, ma anche di noi stessi.
Ci ritroviamo vuoti, mancanti, poveri, fragili, soli di fronte al mondo.
La seconda osservazione riguarda il cambiamento dell’immagine, della considerazione che si ha di noi stessi. Se il nostro amore per l’altro non vale niente, significa che siamo noi a non valere niente, e il suo rifiuto svela la nostra pochezza, l’inganno sul quale ci eravamo costruiti.
Non ci vediamo più con i nostri occhi, ma ci guardiamo attraverso lo sguardo di chi non vuole più né noi, né il nostro amore.
A questo punto è chiaro che nell’abbandono non si perde solo l’amore della persona amata, ma si perde anche la rappresentazione, l’immagine positiva che avevamo di noi.
Questi vissuti di vuoto, mancanza, e assoluta svalorizzazione di sè sono esperienze comuni a tutte le separazioni e gli abbandoni, quando c’è uno che non ama più e l’altro che ama ancora, non c’è niente di malato in tutto questo, solo un grande dolore dal quale con fatica si riemergerà per ritornare a sperare, desiderare, soffrire ed amare.
Per parlare di depressione clinica occorre che tali vissuti risveglino la stesse sensazioni di vuoto, solitudine, mancanza e disvalore che ci avevano travolto quando eravamo piccoli , quando, inermi ed impotenti, avevamo subito una perdita vitale, e l’unico modo di sopravviverle era stato rimuoverla, seppellirla nel luogo più nascosto della nostra anima.
Con la fine dell’amore è il passato che ritorna nella sua spaventosa attualità, ritorniamo a quel passato e lì ci fermiamo.
In questo caso non ci potranno essere nuovi incontri, nuovi amori, e se anche ci saranno non contano nulla. Infatti non è essere amati che guarisce dalla depressione, ma sentirsi nuovamente capaci di amare, in altre parole non sarà l’amore di un altro che ci farà uscire dalla depressione, ma l’amore che noi ci sentiremo di nuovo in grado di dare.
In conclusione non è l’amore che cura la depressione, ma il lavoro del lutto che rende possibile l’accettazione della propria mancanza e rimette in moto il desiderio di amare, è unicamente questo lavoro che ci riapre all’incontro con l’altro, se non siamo pronti ad investire non c’è incontro fortunato che ci possa tirare fuori dal buco nero in cui siamo caduti.